Politica
di Davide Vairani
Francia, ha vinto un massone
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A guardare i giornali e i principali media europei di questi ultimi giorni la Francia e l’Europa tirano un sospiro di sollievo grazie all’incoronazione sullo scranno dell’Eliseo di Emmanuel Macron. Con Macron – scongiurata l’avanzata del populismo del Front Nazional di Marine le Pen- , l’asse franco-tedesco appare rafforzato nell’ottica di una Unione Europea più solida e stabile. Almeno questo è il mainstreming che ne esce e che si vuole imporre.Sarebbe miope - tuttavia – fermarsi ai meri numeri usciti dalle urne francesi. È infatti fuori di dubbio la vittoria netta di Macron: 66% (20.753.797 di voti) contro il 34% della sfidante Le Pen (fermatasi a 10.644.118 voti). Per approvare alcune delle misure più controverse del suo programma, Macron avrà bisogno di una larga maggioranza in Parlamento e non è detto che la ottenga alle legislative per eleggere il nuovo Parlamento. Una tornata elettorale che ha un’importanza non inferiore a quella per la scelta del presidente della Repubblica, visto che si tratterà di decidere con quale agibilità politica Macron potrà governare il paese per i prossimi cinque anni. Le elezioni legislative si terranno l’11 giugno (il primo turno) e il 18 giugno (i ballottaggi), per rinnovare i 577 seggi dell’Assemblea Nazionale. Il sistema elettorale francese per l’elezione del Parlamento è un sistema a doppio turno, che prevede che nei singoli collegi vadano al ballottaggio i candidati che hanno ottenuto il 12,5% dei voti. E il nuovo inquilino dell’Eliseo corre il rischio di ritrovarsi senza una maggioranza in Parlamento. Molto più che dalle presidenziali, la stabilità politica della Francia dipenderà proprio dalle elezioni per l’Assemblea nazionale.
Per quali motivi Macron rischierebbe di non avere una maggioranza robusta? Intanto, per una ragione che riguarda il sistema francese stesso e la sua storia. Il sistema istituzionale della Quinta Repubblica - costruito attorno a un presidente monarca e all’alternanza dei due grandi partiti tradizionali (quello gollista e quello socialista)- è di fatto saltato. Macron ha vinto con un movimento completamente nuovo, abilmente costruito sugli errori e lo sfilacciamento degli storici competitor, non ancora passato per le forche caudine delle urne. La domanda è quanta presa sul territorio potrà avere una forza politica fluida e allo stato nascente come quella che il nuovo capo dello Stato ha fondato un anno fa e che lo ha portato all’Eliseo. Inoltre, se nella storia della Quinta Repubblica la Francia ha sperimentato diverse volte la formula della coabitazione, ma non ha mai dovuto ricorrere alle grandi coalizioni su modello tedesco (une grande rassemblement costituito da partiti con idee e programmi profondamente differenti tra loro). Il che rende lo scenario possibile molto aperto. Non si tratta tanto di tifare pro o contro Macron, ma di comprendere – numeri alla mano – che l’esperienza di queste presidenziali francesi ci consegna l’immagine plastica della necessità sempre più urgente di un ripensamento radicale della politica, sia nelle sue forme tradizionali che nei contenuti: una lezione che vale per tutti i Paesi europei. È sufficiente andare a leggere fino in fondo i dati che le urne francesi hanno consegnato. Il Figaro non a caso ci si sofferma (“Un Français sur trois a voté blanc ou s’est abstenu”). L’astensione ha raggiunto livelli mai visti precedentemente in Francia durante le elezioni presidenziali: il 25.38% contro il 22.23% nel primo turno. Almeno non dal 1969, quando il duello fu Pompidou-Poher (31,15%). Come nel 1969, questa è l’unica volta che l’astensionismo aumenta tra il primo e il secondo turno. Nel 2012, l’astensione al secondo turno fu pari al 19,65%, contro il 16,03% del 2007. Da sottolineare che nel 2002 - quando il Front National ha partecipato al secondo turno per la prima volta nella sua storia - la partecipazione è stata più alta (20.29%). Se poi si guarda al numero di schede bianche (3 milioni equivalenti all’8,49% dei voti) e nulle (1 milione, pari al 3%) - per un totale superiore a 4 milioni di voti che rappresentano quasi il 12% degli elettori -, si registra un nuovo record. Il precedente risaliva sempre al 1969: 6,42% degli elettori aveva scelto o uno scheda bianca o nulla. Già nel 2012, il record era stato quasi superato con il 5,82% degli elettori, cioè 2.154 milioni di schede elettorali. “A differenza del 1969 – scrive Il Figaro -, quando la bassa affluenza alle urne e il numero dei voti bianchi e nulli non sono stati il risultato di una mancanza di sfida per decidere il duello di due candidati di centro-destra, i dati del 2017 mostrano un divario molto più profondo. Lo spaesamento e l’indecisione degli elettori di Jean-Luc Mélenchon e François Fillon hanno indubbiamente pesato, complicando la formazione di un fronte repubblicano. I quattro blocchi che sono apparsi nel primo turno (Macron Le Pen-Fillon-Mélenchon) non sono riusciti a raccogliere la dispersione dei consensi, situazione che potrebbe riapparire nelle prossime elezioni parlamentari, complicando ulteriormente il compito di Emmanuel Macron”.
Non possiamo dimenticare infatti che il giovane leader di “En Marche” ha costruito il suo movimento europeista e pro-mercato da una scissione (a destra) del Partito Socialista Francese solo un anno fa’. Non possiamo dimenticare che al primo turno del 7 maggio lo score dei risultati delle urne mostrava questa situazione: Macron conquistava il 23,8% dei consensi e la Le Pen il 21,6%. Seguiva il Repubblicano François Fillon con il 19,9% e il comunista Jean-Luc Melenchon con il 19,5%. A distanze siderali il socialista Benoit Hamon che si fermava al 6,3% dei consensi. il crollo dei due grandi partiti di massa della Quinta Repubblica Francese. Il candidato del Partito Socialista, ad esempio, passava da 10,2 milioni a 2,2 milioni di voti, spolpato vivo da Macron - che alla prima vera prova da candidato ne ha portato a casa sette milioni abbondanti - e da Melenchon, che rispetto al 2012 ne guadagnava due milioni e mezzo. Un po’ meno peggio - ma nemmeno troppo - andava ai Repubblicains, che hanno lasciato per strada quasi tre milioni di voti, passando dai 9,7 milioni del 2012 ai 7 milioni scarsi del 2017.Il Front National di Marine Le Pen passava nello stesso tempo da 6,5 a 7,5 milioni di voti, conquistando la maggioranza relativa del consenso in 60 dei 95 dipartimenti metropolitani francesi, buona parte dei quali nel nord-est del Paese e nella zona costiera del sud, che nel 2012 avevano premiato lo sconfitto Nicolas Sarkozy. Macron ha saputo certamente approfittare delle debolezze dei suoi avversari, ma è indubbio che la crociata condotta da parte dei poteri forti nazionali e internazionali contro la deriva populista lepeniana abbia dato una pesante e decisiva mano per la vittoria di Macron. Siamo davvero sicuri che la Francia si sia innamorata del giovanissimo Macron e del suo programma al piunto da seguirlo fino in fondo?. Il primo turno e la forte astensione del secondo turno dimostrano che la Francia positiva di Macron rappresenta solo un quarto dei francesi e se questo non inficia la sua importante vittoria, costituisce un ostacolo politico che non sarà facile superare.
Sempre Il Figaro (“Législatives: près d’un Français sur deux souhaite une cohabitation”) riporta un sondaggio Kantar Sofres-OnePoint nel quale si evince che solo il 34% degli intervistati si aspetta che il nuovo capo di Stato avrà “una maggioranza per governare”. Quasi uno su due francesi (49%) vorrebbe che le elezioni dell’11 e 18 giugno possano dare alla Francia “un’altra maggioranza nell’Assemblea” diversa da quella che sembra essere dominata ora da Macron. Il 69% dei francesi ritiene che le elezioni del nuovo Parlamento potrebbero portare ad un risultato diverso, mentre solo il 18% vorrebbero la conferma della leadership di “En Marche”. Per quanto riguarda la probabilità che Emmanuel Macron ottenga la maggioranza dei deputati in Assemblea, il 43% non ci crede, contro il 40% che vogliono crederci. Vero che si tratta di un sondaggio effettuato prima degli esiti finali delle urne, ma alla luce di quanto in precedenza descritto non crediamo che il popolo francese ci abbia ripensato.
L’interesse dei francesi per le prossime elezioni dell’Assemblea nazionale è chiarissimo: il 73% dichiara – è sempre Il Figaro a riportalo – che andrà sicuramente a votare. Questi risultati costituiscono una vera sorpresa istituzionale, dal momento che l’inversione del calendario elettorale - approvata prima delle elezioni del 2002- è stato quello di dare al presidente eletto una maggioranza parlamentare coerente per evitare la coabitazione. Le elezioni parlamentari nel 2002, 2007 e il 2012, con l’effetto di amplificazione del voto a maggioranza, ha risposto a questa logica, che non è affatto quella di oggi.
Approfittando dello stato confusionale destra-sinistra tradizionale destra-sinistra, Emmanuel Macron ha fatto una campagna su tutto lo spettro politico, un posizionamento che probabilmente ha confuso gli elettori francesi. “Una parte degli elettori di Macron, disertori repubblicani o PS, sarebbe ben felice di mandarlo a casa”, dichiara Emmanuel Rivière, direttore dell’istituto di sondaggi sopra citato.
In termini di simulazione di voto nel primo turno dell’elezione del nuovo Parlamento, i candidati della maggioranza presidenziale (“En Marche”! e il MoDEM di François Bayrou) non partono favoriti. Essi sono accreditati con il 24% dei voti, contro il 22% repubblicani candidati alleati con i centristi UDI e il 21% per il FN. I candidati di Mélenchon raccoglierebbero il 15% dei voti, e quelli del Partito Socialista, che continua il suo collasso politico, il 9% dei voti. Se l’accordo elettorale prima del primo turno tra il Benoît Hamon e Yannick Jadot non è rispettato - che è molto possibile - saranno in grossi guai. Lo stesso vale per il Partito Comunista, i cui candidati - senza alleati all’estrema sinistra-, otterrebbe solo l’1% dei voti.
La questione delle alleanze del partito di Macron con altri partiti appare tutt’altro che risolvibile facilmente. Aumenta la confusione. Coloro che vogliono una nuova coabitazione tra il 2017 e il 2022 visualizzato le loro divisioni: il 28% sono per una maggioranza di destra guidata da repubblicani, il 27% suggerisce una maggioranza di sinistra guidata dal Frotn Gauche e il 27% una maggioranza del Front National della le Pen.
Sono solo il 7% a sostenere una maggioranza guidata dal Partito Socialista francese.
Insomma, la situazione in Francia è tutt’altro che risolta. Restano sul piatto le lacerazioni profonde che da anni stanno attraversando il tessuto popolare e che le politiche di Hollande e dell’Unione Europea non sono riuscite né a leggere e tantomeno a risolvere. Staremo a vedere come andrà a finire. Intanto, si faccia tesoro di quanto avvenuto sul piano politico e ci si attrezzi per superare definitivamente il vecchio armamentario destra/sinistra, fascisti/progressisti, populisti/europeisti.