Chiesa
di Claudia Cirami
Il “partito” di Pio XII ha un sostenitore eccellente Papa Francesco
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Il “partito” di Pio XII ha un sostenitore eccellente. Papa Francesco due giorni fa si è espresso convintamente a sostegno dell’operato di Pacelli, durante la Seconda Guerra Mondiale. Vicario di Cristo nel travagliato periodo del furoreggiare del Nazismo in Europa e della follia della “soluzione finale”, per tanto tempo Papa Pacelli è stato additato come ulteriore responsabile, per lo meno indiretto, della morte di sei milioni di ebrei. Ora le parole di Papa Francesco gli restituiscono mondialmente un’altra fisionomia, quella autentica. Esse affermano, una volta per tutte, che la “leggenda nera” su Pio XII può essere archiviata come uno dei più tragici e ingiusti equivoci della storia. Non è la prima volta che il Papa parla a favore di Pio XII, ma – dato che si tratta di una delle omelie quotidiane da Santa Marta – questa volta il suo accenno a Pacelli assume un rilievo differente.
Parlando delle opere di misericordia, il 5 Giugno, Francesco ha delineato alcune caratteristiche che ci permettono di comprendere se siamo davvero in presenza di un’opera di questo tipo. Una di queste caratteristiche è legata al rischio: la figura veterotestamentaria di Tobi sa rischiare per compiere un’opera di misericordia. Ed ecco il passaggio che ha interessato particolarmente i media: «Tante volte si rischia» ha commentato Papa Francesco. «Pensiamo qui, a Roma, in piena guerra: quanti hanno rischiato, incominciando da Pio XII, per nascondere gli ebrei, perché non fossero uccisi, perché non fossero deportati. Rischiavano la pelle! Ma era un’opera di misericordia, salvare la vita di quella gente!».
In questo passaggio ci sono tre elementi molto importanti che vanno sottolineati. Il primo è la lettura positiva del comportamento di Pacelli durante la Seconda Guerra Mondiale. Il secondo elemento è la presentazione dell’agire di Papa Pacelli come “opera di misericordia”. Il terzo elemento è aver messo in luce il rischio corso da Pio XII per aiutare gli Ebrei. Se si dovesse parlare di assoluzione della figura di Pacelli, siamo nell’ambito di una riabilitazione completa e senza più dubbi. C’è poi un ultimo elemento: Pio XII è inserito a pieno titolo all’interno di una moltitudine che – qui a Roma – ha rischiato la pelle per salvare ebrei. In questo senso, pur non avendo parlato espressamente di Chiesa è chiaro che Papa Francesco ha pensato anche ai tanti cattolici che si prodigarono per strappare alla morte quante più persone possibili.
Come si diceva, non è la prima volta che Papa Francesco torna sulla figura di uno dei successori di Pietro, forse il più contestato dell’età moderna. Era già successo nell’intervista concessa nel 2014 a La Vanguardia e ricordata ieri da Radio Vaticana. In questo colloquio, Papa Bergoglio aveva addirittura parlato di “orticaria esistenziale”, stato d’animo che lo coglieva quando «tutti se la prendono con la Chiesa e con Pio XII e si dimenticano delle grandi potenze». In quell’occasione non aveva negato che anche Papa Pacelli avesse potuto commettere degli errori, come capita a tutti i pontefici, ma aveva anche ricordato, tra gli altri fatti, i 42 bambini ebrei che erano nati nella stanza del Papa proprio per sottolineare l’aiuto concreto offerto al popolo ebraico nella tragedia terribile che lo ha coinvolto.
Amara - «tant’è amara che poco è più morte», direbbe Dante – è ovviamente la costatazione che quella su Pio XII è una leggenda nera costruita a tavolino. Fino alla presentazione di un’opera teatrale “Il vicario”, scritta negli anni ’60 da Rolf Hochhuth, nessuno aveva mai creduto alla “colpevolezza” del Papa. Lo stesso Maritain – che aveva chiesto dopo la guerra una decisa condanna di quanto era avvenuto – riferendosi ai fatti di quegli anni complessi aveva scritto: «È, non l’ignoro, per delle ragioni di saggezza e bontà superiori, e al fine di non esasperare ulteriormente la persecuzione, e per non provocare creare insormontabili all’azione di salvataggio che perseguiva, che il Santo Padre s’è astenuto dal parlare direttamente degli ebrei» [riportato in R. Taradel. «Jacques Maritain e il mistero d’Israele. III». Dialegesthai. Rivista telematica di filosofia, 9 (2007)]. La prudenza di Pio XII non era, dunque, stata ancora scambiata per malefica complicità con il regime nazista.
Come è stato più volte ribadito in questi anni, anche la prima recezione dell’operato di Pio XII presso la comunità ebraica del tempo appare positiva. Un ebreo convertito al cattolicesimo, come il rabbino capo di Roma Israel Zolli, assume proprio il nome di Eugenio come atto di riconoscenza per quanto Papa Pacelli aveva fatto per la comunità ebraica romana. Atteggiamento diametralmente opposto rispetto alla nota congiunta firmata nel 2009 dai rappresentati dell’ebraismo italiano di allora, Il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni, il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Renzo Gattegna e il presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, pubblicata in occasione della firma di Papa Ratzinger al decreto che proclamava la venerabilità di Pio XII. Nota che esprimeva la persistenza di una valutazione critica.
Lo scorso anno, l’Osservatore Romano ha pubblicato la memoria del figlio dell’allora direttore dei Musei Vaticani, Bartolomeo Nogara, che avrebbe svelato ai suoi familiari una notizia sconcertante: l’ambasciatore del Regno Unito sir Francis d’Arcy Osborne e l’incaricato d’Affari degli Stati Uniti Harold Tittmann avevano preavvertito Montini (il futuro Paolo VI), che lavorava nella segreteria di stato, della necessità di tutelare Pio XII perché, secondo le informazioni in loro possesso, Hitler avrebbe voluto catturarlo e addirittura deportarlo. Il folle piano sarebbe poi stato accantonato per il timore che una simile azione avesse avuto ripercussioni estremamente negative sull’opinione pubblica. È dunque sempre più insostenibile continuare ad affermare la complicità di Pio XII con il regime nazista.
Qualche anno fa avevano suscitato un certo interesse le dichiarazioni di Abraham Skorka, rettore del Seminario rabbinico di Buenos Aires e amico personale di Papa Francesco. Al Sunday Times aveva presentato come certa la volontà di aprire gli archivi da parte del pontefice per fare luce sull’operato di Pio XII. A stretto giro era arrivata però la precisazione dell’allora portavoce del Papa, padre Lombardi: «L’apertura, che è in programma da anni richiede però tempi tecnici per il lavoro di ordinamento dei documenti, prima di permetterne la consultazione. Gli archivi, insomma, dovrebbero essere aperti una volta che, completato l’ordinamento, siano effettivamente consultabili». Evidentemente il lavoro sta procedendo: inevitabile ipotizzare che l’affermazione del Papa di due giorni fa trovi in qualche modo conferma nei documenti conservati in Vaticano. Difficilmente un Papa si pronuncerebbe in questo modo se il materiale su Pio XII andasse in tutt’altra direzione.
In un’intervista concessa ad Aleteia, sempre nello stesso anno, Matteo Luigi Napolitano, docente di Storia Contemporanea e di Storia delle Relazioni internazionali presso l’Università degli Studi G. Marconi di Roma, espresse, però, una preoccupazione: l’esistenza del rischio che «dopo anni di polemiche sul papa “buono” o “cattivo”, sul papa filonazista, sul papa amico dell’Asse e antisemita (perché si è detto anche questo) alla fine gli studiosi disertino gli archivi una seconda volta, proprio quando sarebbe possibile chiarire molte cose». Perché certe “vulgate” sono dure a morire e tante volte non sempre la ricerca della verità ha la meglio sui pregiudizi. L’endorsement di Papa Bergoglio potrebbe non bastare. Ma intanto egli continua a dimostrare la sua stima per Pio XII, come fece anche lo scorso anno. In occasione del Giubileo dei sacerdoti, nel Giugno del 2016, invitò alla rilettura dell’enciclica pacelliana «Haurietis acquas», del 1956, dedicata al culto del Sacro cuore di Gesù. Per Papa Bergoglio, come per chi lo ha preceduto al soglio petrino, Pio XII ha tanto da dire anche a questa contemporaneità che fatica ad accettarlo.