Società
di Mario Adinolfi
MARIO ADINOLFI intervistato dal mensile LGBT “PRIDE”
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L’intervista di giornata a Mario Adinolfi è oggi, per la prima volta in anni di contrasti, quella di una testata del mondo Lgbt: Pride. La rivista ha espresso il desiderio di rivolgere una lunga serie di domande al presidente del Popolo della Famiglia alla vigilia del test elettorale. Questo l’esito del colloquio, molto franco, firmato da Massimo Basili. Congratulazioni ad un mensile che per la prima volta ha espresso genuina curiosità intellettuale per scoprire le ragioni di un “nemico”. L’intervista è senza dubbio ben scritta, rispettosa e godibile. Come commenta i dati sul numero di coppie che hanno usufruito delle unioni civili, dall’entrata in vigore della legge? Mi sembra un numero molto basso. Repubblica ha definito tale cifra “un flop” della legge sulle unioni gay. Di certo sono molto meno delle attese, Arcigay parlava di 10.000 coppie in un solo anno, sono il 75% in meno. Quella legge è una brutta legge, non serviva. Quali sono i motivi che hanno escluso la stepchild adoption dalla legge Cirinnà Credo che la mobilitazione di piazza dei due Family Day del 2015 e del 2016 al Circo Massimo abbia reso inevitabile almeno lo stralcio dell’articolo 5 della legge. Come si sono comportati i parlamentari del Pd durante l’iter della legge? E quelli del Movimento 5 Stelle? Hanno seguito le loro impostazioni ideologiche, improntate al varo di leggi contrarie alla famiglia naturale. Alla fine qualche gioco politico ha portato il M5S a sfilarsi, ma il Pd ha posto la fiducia e ha portato comunque a casa l’osso con la grave complicità di Lupi e Alfano, comprati con la poltrona del ministero della Famiglia assegnato all’inutile Costa. Che ruolo hanno avuto i due Family Day del 2015 e del 2016 nel dibattito sull’approvazione della legge Cirinnà? E le manifestazioni delle 100 piazze Svegliatitalia? Credo che i Family Day abbiano ottenuto concretamente lo stralcio della stepchild adoption, lo stop alla legalizzazione di fatto dell’utero in affitto e abbiano anche reso evidente la presenza di un popolo pronto a dare battaglia politicamente, cosa che si è verificata poi con la nascita del Popolo della Famiglia. Le manifestazioni Lgbt hanno portato a casa una brutta legge che non piace neanche a chi si è battuto per averla, peraltro con una mancanza di soggettività politica reale. Sbaglierò ma vedo il mondo Lgbt frastagliato in mille sigle e siglette tra loro anche in conflitto aspro. Esiste poi una dimensione lobbistica in cui invece credo che siete un passo avanti a noi. Il Partito della Famiglia non ha ottenuto i risultati sperati ovunque si sia presentato alle elezioni amministrative. Per quali motivi? Il Popolo della Famiglia è nato l’11 marzo 2016, ad aprile ha eletto il suo primo rappresentante, una mamma, Giovanna Arminio, consigliere municipale a Bolzano. A maggio abbiamo presentato le liste in tutte le principali città italiane e il 5 giugno, a meno di 3 mesi dalla fondazione, il PDF ha preso l’1.07% su scala nazionale. Ora ci presentiamo alle amministrative 2017 con l’obiettivo di raddoppiare i voti. Siamo molto oltre i risultati sperati. Quali sono le battaglie del PdF che secondo lei hanno più possibilità in futuro di essere recepite dagli elettori e quali invece sarebbe meglio non proseguire? Con il segretario nazionale Gianfranco Amato tutti i dirigenti nazionali girano l’Italia per ribadire un programma di governo semplice riassunto in uno slogan: prima la famiglia. Concretamente significa reddito di maternità, quoziente familiare, ripristino pieno del valore dell’articolo 29 della Costituzione sulla famiglia naturale fondata sul matrimonio, contrasto alla cultura necrofila dell’aborto e dell’eutanasia, no all’utero in affitto, abolizione della legge Cirinnà, nuovo manifesto di Ventotene per un’Europa fondata sul diritto universale a nascere per contrastare politiche demografiche di denatalità che rischiano di lasciare spazio ad una islamizzazione del Continente. Come giudica il papato di Francesco rispetto all’approvazione delle leggi sui temi cosiddetti “etici”, legge Cirinnà compresa? La dottrina Cristiana non è cambiata di una virgola, Papa Francesco è in piena continuità da questo punto di vista con Papa Benedetto, preoccupato dal diffondersi dell’omosessualità nella Chiesa tanto da aver confermato l’Istruzione di Ratzinger che vieta l’ordinazione sacerdotale di persone con tendenze omosessuali o anche solo sostenitrici “della cosiddetta cultura gay”. Altra cosa è l’accoglienza della persona omosessuale che come ogni altro peccatore, me compreso, è sempre oggetto della carità della Chiesa che non chiude le porte mai a nessuno, senza giudicare le persone, ma giudicando di certo il peccato come tale. A proposito delle trasmissioni delle Iene su Unar/Anddos, ha scritto in un post su Facebook di essere lei l’ispiratore del servizio che ha scatenato le polemiche e le dimissioni di Spano. Ci spiega meglio come si sono svolti i fatti? Non ho mai detto di essere l’ispiratore. Ero in contatto con uno degli autori del servizio e ci siamo scritti prima che andasse in onda. Più in generale io, da candidato sindaco di Roma, in una lunga intervista a Luca Telese avevo denunciato l’esistenza sul territorio di “colonie del male”, luoghi del sesso promiscuo omosessuale caratterizzati da prostituzione maschile anche minorile e dallo spaccio di droghe pericolosissime. Quella denuncia credo sia servita da base per andare a entrare con le telecamere nascoste in alcuni luoghi precisi che il mondo Lgbt a Roma e in altre città conosce bene. Anni fa, ai tempi delle primarie del Pd a cui si era candidato, si era detto favorevole alle unioni civili: cosa le ha fatto cambiare idea? Non sono mai stato favorevole. Proposi un referendum non sulle unioni civili ma sul matrimonio gay, spiegando proprio il mio concetto di partito: da leader che aveva una opinione precisa, non volevo comandare, ma chiedere liberamente il parere a tutti gli iscritti. Anche nel PDF che ho fondato sono andato sotto in qualche votazione, è giusto che ci sia una democrazia interna vera, sempre. Qualcuno forse sa che sono stato membro della commissione che ha scritto lo statuto del Pd e mi ero particolarmente battuto per l’istituto del referendum interno. Era un modo per esemplificare. Non ero ostile alla formula tedesca delle partnership, ma poi ho capito che ogni legge è solo uno step che punta al “matrimonio egualitario” e all’utero in affitto legalizzato. E così sono stato denunciato al tribunale interno del Pd per “omofobia”, non una ma due volte. Sono stato l’unico dirigente del Pd ad essere denunciato con questa accusa, quindi delle due l’una: o ero omofobo o ero per le unioni gay. Comunque, dalle accuse sono stato assolto. Ci spiega cosa sono “i falsi miti di progresso” di cui parla nel suo libro Voglio la mamma? E in che modo lo dice “da sinistra”? Aborto, eutanasia, utero in affitto sono falsi miti di progresso figli di un terribile morbo contemporaneo: la visione antropologica che trasforma le persone in cose e le rende utilizzabili come cose, eliminabili come cose. Sono stato un uomo di sinistra allenato a individuare il soggetto debole nelle dinamiche sociali e a proteggerlo. Il bambino non nato è un soggetto debole, il malato è un soggetto debole. Se due ricchi gay affittano l’utero di una donna in condizioni di bisogno e comprano il neonato, i soggetti deboli sono la donna e il neonato, non i due ricchi gay. Ci sono battaglie che ha seguito personalmente che adesso, a posteriori, si pente di aver combattuto? No. Per quali motivi, secondo lei, i gestori di Facebook le hanno sospeso il profilo per un mese? Per qualche frase che ripeterei e ripeterò, non adeguata evidentemente al clima di discriminazione di alcuni valori che avvolge i social network. Come giudica il modo col quale i media lgbt hanno raccontato il personaggio pubblico di Mario Adinolfi? Lo trovo molto violento e, stranamente, poco curioso di stabilire una qualche connessione che permetta un dialogo. Si è preferito dare la stura all’odio.