Media
di Lucia Scozzoli
Se twitter censura gli attivisti pro life
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Quando la California depositò le accuse contro David Daleiden, leader del CMP (Center for Medical Progress, gruppo pro-life) e una dipendente Sandra Merritt, per aver girato di nascosto i filmati su Planned Parethood, alla convention della Federazione Nazionale Aborti a San Francisco nel 2014 e a Baltimora nel 2015, i media liberali hanno riportato la notizia negli USA con grande eco.
Ma poi due settimane fa il Tribunale Superiore di San Francisco ha respinto 14 delle 15 denunce di invasione di privacy contro i due attivisti che hanno registrato segretamente conversazioni con i partecipanti e i media sono rimasti zitti zitti.
Questo si chiama avere due pesi e due misure.
Addirittura quando esplose lo scandalo per la diffusione dei video di CMP, le reti ABC e CBS pubblicarono i filmati con commenti del tipo “i video mostrano il tentativo di Daleiden e Merritt di comprare tessuto fetale” o i due “hanno cercato di acquistare materiale umano”, che è esattamente l’inversione della realtà: infatti i filmati ritraggono proprio le reazioni compiaciute e accondiscendenti di Planned Parethood alle richieste dei due finti ricercatori e documentano inequivocabilmente il mercato di parti del corpo di bambini abortiti praticato dal colosso degli aborti americano.
Oltre ad aver rovesciato la frittata, i media hanno omesso alcune informazioni rilevanti: l’avvocato generale della California, Xavier Becerra, che ha intentato causa con i 15 capi di imputazione contro Daleiden e Merritt, ha ricevuto migliaia di donazioni da Planned Parenthood come membro della Camera. Inoltre Becerra ha strenuamente difeso davanti ai media le attività di Planned Parenthood quando a settembre del 2015 i Repubblicani manifestarono la volontà di tagliargli i fondi.
Dopo due mesi dalla divulgazione del primo video, le tre reti ABC, NBC e CBS avevano mostrato solo lo 0,13% del filmato di CMP durante i loro notiziari (1 minuto e 13 secondi delle oltre 16 ore di ripresa) e agli inizi di ottobre 2015 i media avevano trascorso più tempo a ribadire la difesa di Cecile Richards, la CEO di Planned Parenthood, durante l’audizione al congresso che a mostrare i video oggetto del contenzioso.
Fin dall’inizio dello scandalo, i media liberali hanno scelto di difendere Planned Parenthood: nelle prime 9 ore e mezza di trasmissioni televisive dopo l’esplosione dello scoop, ABC, NBC e CBS hanno speso solo 39 secondi sul video. Ci sono volute più di 24 ore affinché tutte e tre le reti riportassero la notizia. Dopo una settimana, il tempo concesso al video era di soli 9 minuti e 11 secondi. È evidente che se uno spettatore avesse voluto informarsi solo seguendo questi media, dei video di CMP avrebbe capito ben poco.
La storia del leone Cecil, per capirci, in un giorno ha avuto più attenzione dei video di CMP in due settimane. Anche la telecronaca sulla nascita dei panda cubani al National Zoo è andata in onda di più. Poi le tre reti si sono rifiutate di documentare le manifestazioni avvenute in tutto il paese a fine agosto e che hanno coinvolto migliaia di americani, contro Planned Parenthood. Solo la CBS ha fatto un fuggevole cenno, parlando di un incendio in una clinica di PP a Washington: “Il fuoco ha causato danni pesanti, ma nessuno è stato ferito”. “Due settimane fa, circa 500 persone hanno protestato in quella clinica chiedendo che fossero arrestati”. E così hanno servito al telespettatore l’associazione del tutto priva di fondamento tra protesta e incendio.
Delle proteste di gennaio 2017 le reti hanno parlato omettendo di descrivere anche le incursioni violente degli abortisti, che si sono anche scontrati con la polizia.
Anche in Italia conosciamo bene questo atteggiamento dei media: i pride hanno sempre garantita una copertura mediatica di prim’ordine, pure quando sono quattro gatti scomposti, mentre le proteste pro-life o le veglie di preghiera o i family day non sono meritevoli nemmeno di un rapido cenno. La faziosità della Rai a incensare perennemente il PD rasenta l’idiozia e Mediaset si è perfettamente allineata allo stile progressista in salsa animalista (Dudù ci ha messo la zampa), mentre per La7 tutti i mali vengono dal M5S. Per tutti le destre sono attaccabrighe populiste, il PDF non esiste, la Chiesa va bene se conferma il PD, si immischia senza diritti se lo contesta.
Lila Rose, fondatrice dell’associazione pro-life Live Action, ha inoltre denunciato come la piattaforma twitter stia censurando i suoi tweet a favore della vita perché ritenuti offensivi, anche frasi innocue o citazioni famose, del tipo:
“Un bambino non è una scelta. Seguimi per gli aggiornamenti sul diritto alla vita e alla dignità umana”
“Perché una persona è una persona, non importa quanto piccola”
“La cura della vita umana e della felicità, e non la sua distruzione, è il primo e unico oggetto di un buon governo” (Thomas Jefferson)
Non si capisce dove stia il carattere offensivo di questi tweet, a meno che il social non ritenga offensivo ogni riferimento pro-life ed in effetti è esattamente quello che sostiene Lila Rose.
D’altra parte il mondo sta virando verso una cultura di morte a velocità terrificante: già in Francia è vietato per legge compiere qualunque azione di persona o sui social che possa ostacolare l’aborto, anche solo cercare di dissuadere una donna o prospettarle un’alternativa. Il video bellissimo sui bambini down che invita a guardarli come persone e non come disabili tristi è stato messo fuorilegge, per il rischio che qualcuno si convinca a non abortire dopo la diagnosi di trisomia 21.
La vicenda giudiziaria di Charlie Gard e l’accanimento della magistratura inglese a voler condannare a morte prima del tempo un bambino disabile si innesta nel solco di questa ideologia, che non è nemmeno nuova: la priorità del profitto giustifica ogni azione atta a limitare la spesa sanitaria pubblica, mediante l’eliminazione dei prodotti fallati. Lo diceva già Hitler.
Le piattaforme social di facebook e twitter si sono apertamente schierate in senso abortista. Una volta si sarebbe detto “pro-choise”, ma dopo il colpo di mano inglese e l’affermazione che l’unica scelta che siamo liberi di fare è morire, bisogna cambiare nome allo schieramento: pro-death sarebbe più idoneo.