Società
di Lucia Scozzoli
Spiegare a Vauro ciò che non gli è chiaro
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Charlie attende, e noi con lui: la corte suprema inglese si è aggiornata per giovedì. Il giudice Francis ha detto qualche frase di circostanza (“vorrei poter cambiare idea, ma devo applicare la legge”), ha chiesto di visionare le cartelle cliniche, ha affermato di non riuscire certo ad emettere una sentenza per giovedì, e tanti bei coriandoli delle speranze riposte da tutti noi in un rapido trasferimento di Charlie altrove, ad applicare il protocollo sperimentale.
Il guaio grosso è che i genitori sostengono che l’ospedale menta sulle reali condizioni del bambino, quindi dalle cartelle cliniche non c’è da aspettarsi grandi novità: non ci vuole molto a ritoccare la misura della circonferenza cranica, ad esempio, per dimostrare che Charlie non è cresciuto negli ultimi mesi. *Marwa** *Bouchenafa tre mesi fa si è trovata in una situazione del tutto analoga a quella di Charlie: i dottori francesi volevano sospenderle la ventilazione e i genitori invece volevano mantenerla e, per il momento, è ancora viva grazie ad una decisione (sempre in bilico) dei giudici francesi. La sua famiglia, quando ha visto che aria tirava in ospedale, ha cominciato a presidiare la stanza e a filmare ogni giorno la piccola, a misurarla per conto proprio, cioè a radunare evidenze scientifiche sul suo stato di salute indipendenti dall’ospedale. E grazie a questo lavoro meticoloso sono riusciti a strappare ai giudici la sentenza favorevole.
Certo che gli ospedali, nei paesi dove l’eutanasia, attiva e passiva, è ormai prassi, sono dei postacci dove si respira più terrore che sicurezza. La tecnica medica può tanto, ma vuole sempre meno.
Intanto da noi, mentre si consuma sulla pelle di Charlie questo scontro epocale tra visioni della vita contrapposte, mentre imperversa il dibattito su cosa sia una vita degna di essere vissuta, da noi c’è chi invoca il silenzio (vedi Dotto sull’osservatore romano o don Mauro Leonardi dal suo blog) e chi si dedica all’attività più infima e spregevole che ci possa essere: il benaltrismo.
Vauro in prima linea ci informa, con una vignetta acida dove si vede un bambino immigrato che affonda in mare, che noi, che ci agitiamo tanto per la vita di un solo bambino, siamo spregevoli ipocriti che contemporaneamente lasciano affogare nel mediterraneo migliaia di innocenti.
Prima di tutto io personalmente non riesco a capire in che modo potrei essere responsabile delle morti nel Mediterraneo: non ho votato certo questo governo, che con la bella trovata del Mare Nostrum ha decuplicato le vittime, attirando sempre più poveracci ad imbarcarsi su bagnarole che non sono in grado di fare un miglio, tanto ci sono le navi delle ong che li vanno a pigliare in acque libiche, ma poi basta che ci sia un filo di vento che quelle si ribaltano prima che arrivino i soccorsi.
Non ha nemmeno il mio appoggio questa Europa che in Medio Oriente non è stata capace di mettere in campo nemmeno un briciolo di diplomazia autenticamente pacifista, ma ha giocherellato svendicchiando armi e stringendo contratti di fornitura di gas e petrolio ora con questo ora con quel governo provvisorio.
Se Vauro vuole un colpevole per le morti nel Mediterraneo, che lo vada a cercare a Bruxelles, dove i paesi sembrano tutti concordi nell’applicazione del piano Kalergi per la sostituzione etnica delle nazioni con una massiccia invasione di popoli apolidi, da inglobare nella società come i nuovi schiavi di un capitalismo senza garanzie sociali per nessuno.
Non solo: i bambini che muoiono in mare, ma anche quelli che perdono la vita sotto le macerie di una casa bombardata, di malattia nella povertà della guerra, uccisi dalla ferocia di guerriglieri sanguinari, muoiono nello sgomento del mondo (quando arrivano le notizie). Non mi pare che ci sia nessuno che esulti per quelle piccole vittime o che osi affermare che in fondo la loro dipartita sia il meglio che poteva capitare loro. Invece di Charlie ci vogliono raccontare che il suo bene sta nella sua morte prematura, che staccare la ventilazione sia nel suo migliore interesse, e ce lo dicono non con il conforto irrazionale e fideistico di un qualche credo che affida la sua anima ad un paradiso consolatorio, ma nel vuoto cosmico di un ateismo materialista che non crede nell’aldilà. Muore e basta. Lo consegniamo al nulla, e, secondo Vauro e tutta la sua cricca, ne dovremmo essere felici.
Ma in più: le piccole vittime delle guerre, anche quelle passate a fil di spada davanti ad una telecamera per mera propaganda del terrore, anche quelle torturate in virtù della loro appartenenza ad un gruppo (siano essi cristiani copti o musulmani moderati o minoranza curda o chissà cos’altro), non sono mai uccisi conoscendo il loro nome, considerandoli nella loro identità personale unica ed irripetibile. Essi sono solo simboli, o semplicemente sono nel posto sbagliato al momento sbagliato. Se il fato avesse voluto diversamente, al posto loro sarebbe potuto morire qualcun altro, simile o diverso, semplicemente rispondente al parzialissimo identikit di vittima ideale per il killer di turno. Essi sono, nella mente diabolica di guerriglieri ed eserciti, il nemico in quel momento, la personificazione di un ideale da abbattere.
Invece Charlie è Charlie Gard, figlio di Connie e Chris, nato 11 mesi fa, affetto da una patologia specifica, una malattia rara che ha quasi solo lui. Della sua piccola vita sappiamo tutto, il web è tempestato con le sue foto, da quando rideva bellissimo e tirabaci, a quando socchiudeva appena gli occhi con un giro di nastro scuro a tenere fermo il ventilatore sul naso. Per Charlie Gard, proprio lui, si sono mossi luminari e scienziati, hanno guardato la sua cartella clinica, elaborato protocolli medici, proposto terapie. Per lui, piccolo disabile, sono state raccolte centinaia di migliaia di firme, si sono fatte veglie, preghiere, manifestazioni, rosari, sit-in, dirette, raccolte fondi, articoli. E guardando lui, proprio lui, questi giudici e questi medici ci dicono che è meglio che muoia, che l’affetto smisurato che gli è piombato addosso dal mondo intero non conta nulla, che la sua “qualità della vita” o, peggio ancora, la sua “dignità” non passa da queste cose, dal riconoscimento da parte di migliaia di persone che lui è importante, che vale qualcosa. Come un cecchino che pedina la preda, poi si apposta e spara dritto in fronte, costoro vogliono farlo fuori.
La morte è atto pietoso solo in condizioni veramente estreme, come può essere il palazzo in fiamme che spinge il povero intrappolato al trentesimo piano a buttarsi giù per non morire carbonizzato. La morte pietosa è il colpo in testa al condannato che hai già torturato. Ma quando c’è la malattia, anche quella che dolorosamente ti consuma verso l’inevitabile fine, che sia morte pietosa non lo può dire un giudice, non lo può dire nemmeno un medico: lo dice, eventualmente, il diretto interessato o chi accanto a lui, nell’amore, è in grado di interpretare correttamente la sua volontà. L’amore è l’unico criterio valido in questi delicatissimi frangenti, perché l’amore ci fa desiderare e perseguire il bene altrui, ci fa indossare anche i panni scomodi del dolore dei nostri cari. E qui abbiamo due genitori che sostengono l’esatto contrario di quel che dicono i medici del GOSH. Specifichiamo bene: solo i medici del GOSH. Non si tratta più di una battaglia tra scienza e ignoranza, tra medicina e cuore di mamma, ma tra la cocciutaggine ideologica di un manipolo di medici coltivati in un humus di morte e un mondo della ricerca veramente aperto ai suoi primari obiettivi, e cioè l’impegno nella sperimentazione a favore dell’uomo, per la difesa della sua vita e il debellamento di sempre più vaste e gravi malattie.
Puoi uccidere volontariamente una persona solo per due motivi: odio personale e passionale o in guerra (sia essa una guerra regolare o una guerriglia sparsa). Visto che non trovo ragioni per le quali i medici del GOSH debbano odiare Charlie, mi domando quale guerra stiano combattendo. Anzi lo so, e mi riguarda: è in atto l’affermazione violenta, con vittime sul campo, che è degno di vivere solo chi raggiunge uno standard minimo stabilito dalla comunità in base a regole di convenienza economica. E riguarda anche Vauro, ma lui non l’ha capito.