Storie
di Lucia Scozzoli
Charlie muoia almeno a casa sua
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Ieri si è tenuta una conferenza stampa dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma durante la quale il professor Luigi Bertini ha spiegato come sta davvero il piccolo Charlie: il danno muscolare eccede il 90%, la cura sperimentale non ha più chance di ottenere alcun miglioramento appezzabile, la sorte di Charlie è segnata. “Abbiamo cercato di aiutare Charlie in modo laico, senza nessuna ideologia. Questo ospedale investe tantissimo in ricerca per aiutare i bambini di tutto il mondo. Nei prossimi giorni io stessa sarò in Giordania e poi in Siria per i bambini che hanno bisogno di cure”. Così la presidente del Bambin Gesù, Mariella Enoc. “Volevamo dare un’opportunità alla famiglia e dire che è molto importante la relazione tra medici e famiglia. Senza, non si va da nessuna parte. L’unica cosa che non è servita a Charlie è stata andare in tribunale. Serve accompagnamento, relazione, vicinanza nel far capire alle famiglie quello che sta succedendo ai loro figli è un momento che è mancato”.
Ma soprattutto la Enoc ha aggiunto: “Non so perché l’ospedale inglese abbia deciso di sospendere le cure al bimbo, so che qua da noi questo non sarebbe avvenuto”.
Parole che scendono sulle nostre ferite come balsamo e ci fanno ringraziare di essere italiani e non inglesi.
Gianfranco Amato ha fatto sapere dalle pagine di Intelligo news che i giuristi per la vita avevano trovato un escamotage giuridico per portare Charlie in Italia, appellandosi all’art 56 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, con la collaborazione di un ospedale ponte, già trovato in Lombardia, ma le condizioni di Charlie hanno reso questa opportunità ormai inutile.
Intanto a Londra è andato in scena l’ennesimo atto di questa tragedia con un’udienza che Connie Yates ha preteso fosse pubblica, nonostante il presidente della camera avvocati di famiglia fosse contrario, in quanto riguardante questioni di stretta competenza del rapporto genitori – ospedale, in cui nemmeno il giudice dovrebbe essere chiamato a dire nulla. Il GOSH vorrebbe spegnere i riflettori, la famiglia evidentemente no, continua a non fidarsi dei medici di quel “fantastico ospedale” di fama mondiale ed ha rifiutato persino l’intervento di un mediatore, preferendo appellarsi al giudice Francis, che pure con i Gard non è mai stato tenero. L’oggetto della seduta è la decisione circa dove, come e quando Charlie dovrà morire. I genitori vogliono portarlo a casa, il GOSH si oppone.
L’avvocato Armstrong ha esordito dicendo che se Charlie fosse stato portato negli Stati Uniti, si sarebbe potuto usare un ventilatore portatile, per cui adesso non si capisce quale sia il problema per un trasporto di pochi chilometri.
Allora il GOSH ha ribattuto che il ventilatore portatile non sarebbe passato dalla porta della casa dei Gard (ma sono andati a misuragli la porta per davvero?).
Il giudice Francis ha domandato che ne pensano di un hospice e Armstrong ha risposto che sarebbe la seconda migliore opzione. Il giudice si è anche lamentato del fatto che queste sono questioni che dovrebbero essere risolte con la mediazione delle parti, ma Armstrong ha ribattuto che l’ospedale non potrebbe impedire ad un paziente di curarsi in un modo giudicato appropriato dal giudice, evidenziando così il fatto che il GOSH pare decisamente mal disposto verso la richiesta dei genitori e che una mediazione non li smuoverebbe di un millimetro.
La Gollop QC ha dichiarato che l’ospedale ha fatto di tutto per entrare in dialogo coi genitori, non capisce perché rifiutino una mediazione e ogni discussione richiederà tempo, sprecato senza alcuno scopo utile. Naturalmente l’ospedale vorrebbe soddisfare i desideri della famiglia, ma deve tenere in conto il miglior interesse di Charlie (che sarebbe morire presto e sotto i loro occhi).
Il Giudice ha domandato che problemi ci sarebbero a fornire un ventilatore per una casa di un membro della famiglia (che abbia la porta più larga evidentemente) e che ostacoli al trasporto potrebbero esserci.
Allora la Gallop ha gettato la maschera affermando che il problema sta nel fatto che i genitori vogliono tenersi a casa Charlie (e il ventilatore) per parecchi giorni, cioè non lo vogliono far affatto morire.
Il Giudice ha affermato che se si tratta di un giorno o due, è d’accordo, ma se si tratta di più tempo, dovrà decidere in merito. Armstrong è intervenuto chiarendo che la famiglia non parla di settimane.
Victoria Butler-Cole ha chiesto al giudice di fissare un termine per le discussioni tra le parti. In mancanza di un accordo, la scelta cadrebbe su un’hospice. Poi ha spiegato quali sono i problemi pratici di un trasporto fuori dall’ospedale: gli esperti scelti della famiglia non possono fornire una ventilazione continua al di fuori dell’ambiente di assistenza intensiva. Non si può uscire da un ambiente ospedaliero.
Il Giudice ha convenuto che un hospice pare l’unica soluzione, perché dobbiamo evitare che avvenga qualche incidente durante il trasporto, come un’estubazione involontaria, col rischio che Charlie muoia (come se restare in ospedale gli garantisse la vita!)
Armstrong ha fatto notare che al momento Charlie è assistito da un solo infermiere. Da un punto di vista medico, è stabile. Non è che si vedano tutte queste necessità di ambiente ospedaliero. Ma per il giudice il trasporto potrebbe portare a traumi imponderabili (talmente imponderabili che non gliene viene in mente neanche uno, ma fa finta che siano tanti e terribili) e sentenzia che le uniche due opzioni sono o il GOSH o un hospice. E mentre la Gollop bofonchia che non esiste in tutto il Regno Unito un intensivista che possa garantire le cure a Charlie durante la notte, il giudice aggiorna la seduta al giorno seguente, in cui decreterà la sua decisione.
Pare sempre più chiaro che i genitori di Charlie si sono arresi all’idea che il loro amato figliolo morirà presto, ma non intendono farselo strappare dalle braccia da questo ospedale sempre più aguzzino e ipocrita, che rigira le parole usandole con il significato esattamente opposto a quello che avrebbero nel vocabolario. Assurdo poi che Charlie non possa essere mandato a casa a morire per il rischio che possa morire durante il trasporto, sembra uno di quei colmi che si leggono sulla settimana enigmistica: qual è il colmo per un condannato a morte? Non ricevere l’ultimo pasto perché rischia di morire asfissiato. Assistiamo alla messa in scena di un’operetta paradossale, in cui l’unico interesse che paiono perseguire le parti è quello dell’ospedale a coprire le mancanze e i ritardi nell’accesso alle cure provocati da un incaponimento ideologico che ha condannato a morte Charlie quando ancora era vivo e vegeto.
I genitori hanno dichiarato l’altro ieri all’uscita dall’udienza che Charlie non ha danni cerebrali, risponde, è presente e che la cura di Hirano e di Bertini avrebbe giovato se applicata mesi fa, sbugiardando l’affermazione del GOSH di aprile secondo il quale il bambino allora aveva già danni cerebrali irreversibili. Nessuno dei media ha riportato le loro parole, tutti hanno solo sottolineato che hanno acconsentito a lasciare andare Charlie, come se si fossero arresi all’eutanasia di stato.
Charlie morirà, ma intanto ha seminato doni al mondo con grande generosità: anche la Enoc ha avuto parole di riconoscenza in tal senso, sottolineando come attorno a Charlie sia stato realizzato “un confronto congiunto internazionale approfondito sia sul piano scientifico che su quello clinico; un fatto straordinario, un caso emblematico per il futuro delle malattie rare. Per la prima volta su un singolo paziente si è mossa la comunità scientifica internazionale, per valutare concretamente e fino in fondo le possibilità di cura. La comunità clinica e scientifica internazionale, che si mette in rete e fa sinergia per un malato e si mobilita per una vita, lavorando a stretto contatto, rappresenta un precedente che darà più forza a tutti i Charlie che verranno. Questa è la vera eredità del caso Charlie: l’impegno a sviluppare concretamente un modello di medicina personalizzata. Per questo valeva la pena fare tutto ciò che abbiamo fatto, trainati dalla forza di Charlie e dei suoi splendidi genitori, dalla forza della condivisione indispensabile nel percorso di cura con la famiglia, dalla forza dell’alleanza tra i clinici, la famiglia e il paziente, senza dimenticare il contributo importante delle associazioni dei malati che in questi casi rappresentano un punto di riferimento prezioso per tutti i soggetti coinvolti.” E mentre il Bambino Gesù emette simili meravigliosi comunicati stampa, rai news riporta dei virgolettati inventati, tipo che “staccare la spina a casa o in ospedale è una scelta che non cambia il finale, certo questo ospedale, pur nel rispetto della vita, non avrebbe mai fatto accanimento terapeutico”
Il GOSH credeva di aver messo in scacco genitori e pro life sostenitori, i media hanno contribuito non poco nel cercare di far ingoiare al popolo bue l’idea che l’eutanasia sia il meglio possibile, ma hanno fatto i conti senza il Bambino Gesù, che ha evidenziato obiettivi opposti a quelli inglesi, e senza i genitori, che non hanno smesso di lottare per lasciare andare Charlie nel modo più lieve e naturale possibile, tra le mura accoglienti di casa e nei tempi che la malattia vorrà dettare. Il malato al centro dell’interesse, in quanto persona degna di amore, cura e attenzione, fino alla fine della vita, nella sinergia tra familiari, medici e paziente: altro che vita non più degna di essere vissuta! Qualunque prepotenza usi il GOSH, questa nuova consapevolezza non ce la toglieranno più.