Storie
di Davide Vairani
La cosa più saggia al mondo è gridare prima di essere stati feriti
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La triste e breve parabola terrena del piccolo Charlie Gard lascia un segno indelebile nel cuore di tanti di noi. Perché? Perché proprio Charlie e non centinaia e centinaia di persone che hanno fatto la sua stessa fine? Per Charlie non solo abbiamo provato rabbia e dolore, ma ci siamo mobilitati in mille modi per fermare quello che ci è apparso evidente come una atrocità senza precedenti. Una atrocità che abbiamo sentito come diretta a ciascuno di noi, lo abbiamo sentito sulla nostra pelle.
Ecco il punto: abbiamo avvertito potentemente su di noi il fatto che possa accadere anche a noi. Che cosa sta accadendo all’uomo?
Il giudice Francis che ha condannato a morte Charlie non è un pazzo assassino scappato da un manicomio criminale. Sarebbe una spiegazione troppo semplice e non corrispondente al vero.
Eutanasia, eugenetica, genderismo non sono che i dèmoni figli della stessa cultura nella quale da almeno duecento anni l’uomo moderno è immerso.
La vicenda di Charlie ci ha mostrato d’un colpo gli effetti devastanti.
Si chiama “transumanesimo”: movimento di pensiero che, sfruttando le risorse della tecnologia, della cibernetica, dell’ingegneria genetica, mira alla costruzione di un essere umano perfetto. Questa definizione ci potrebbe indurre a circoscrivere il transumanesimo a fenomeni che richiedono interventi chirurgici e tecniche genetiche. In realtà, il transumanesimo è una eterogenea corrente di pensiero, tanto diffusa quanto acriticamente accolta, che di fatto realizza il risultato di oltrepassare la “specie umana attuale” – si fa per dire –, anche senza interventi genetici o organici.
“Assicurare una morte dignitosa”, “Combattere le malattie genetiche con sperimentazioni biogenetiche”, “Autodeterminazione” se ci pensate in fondo sono frasi che oltre che a perdere il loro vero significato sono tutte accumunate da un pensiero: l’uomo basta a se stesso e ha diritto di essere felice al massimo possibile delle proprie individuali esigenze e dei propri individuali desideri.
“La cosa più saggia al mondo è gridare prima di essere stati feriti. Non ha senso gridare dopo. Specialmente dopo essere stati feriti mortalmente… È vitale resistere a una tirannia prima che questa esista. Non è una risposta dire, con distaccato ottimismo, che il pericolo è solo nell’aria: il colpo di un’accetta si può parare solo mentre è ancora in aria”. Così scriveva nel 1922, con la sua efficacia tipica, Gilbert Keith Chesterton, in un libro troppo dimenticato e tuttavia di una attualità sconvolgente: “Eugenics and other evils”, Eugenetica e altri mali. Lo scrittore inglese scorse un filo rosso pericoloso che partiva dall’evoluzionismo ed approdava all’eugenetica. Chesterton (1874-1936) vide già allora un connubio terribile tra l’evoluzionismo di Charles Darwin (1809-1882), l’eugenetica di Francis Galton ed il superomismo di Friedrich Nietzsche (1844-1900). Una miscela esplosiva contro i più elementari diritti della persona e della famiglia. Intuì soprattutto il fascino drammatico che queste teorie (o, forse meglio, utopie) avrebbero suscitato nelle generazioni successive e ne previde le tragiche conseguenze. Certo, l’eugenetica di cui parla Chesterton non è quella dei nostri tempi: non sono in discussione gli embrioni ma gli invalidi, non la fecondazione assistita ma i matrimoni “assistiti”. Eppure le argomentazioni dei sostenitori del progresso scientifico invocavano anche allora la libertà di ricerca e la possibilità di straordinari vantaggi futuri, mentre le obiezioni di Cheserton, convinto che non sia la religione a perseguitare la scienza ma viceversa, assomigliano molto a quelle di certi “atei devoti” di oggi. Capì esattamente che l’eugenetica era essenzialmente un grave peccato, favorito pure dall’“abnorme ingenuità” di quell’epoca. Con accenti vibranti denunciò la tirannia dell’eugenetica come una rivoluzione contro l’etica dalle nefaste conseguenze. Difese con vigore la legge naturale, la legge non scritta che abita nel cuore dell’uomo e si appellò ad essa nel proteggere la vita dall’omicida eugenista. Comprese che era in atto un’autentica persecuzione contro la vita e la famiglia. Nonostante gli orrori generati nella storia umana, ancora oggi è forte la tentazione di praticare politiche eugenetiche: aborti selettivi, donazione, sperimentazione sui concepiti, eliminazione dei deboli e dei disabili.. L’eugenismo non è finito. Certo, al posto degli slogan sulla purezza razziale, i nuovi eugenisti parlano più pragmaticamente di un’economia più efficiente, di migliori prestazioni e di una migliore “qualità della vita”.
Questa nuova e malvagia eugenetica trova sostegno nell’edonismo compiaciuto e diffuso di molta gente ed è a disposizione per l’accresciuta tecnologia del mercato. L’aborto terapeutico, la diagnosi pre-impianto, l’inseminazione artificiale sono tutti strumenti messi a disposizione del mondo medico e dell’industria. Conditi con parole rassicuranti vengono veicolate attraverso la manipolazione del consenso operata dagli apparati mediatici, culturali e finanziari; in questo modo “soft” non vengono neppure concepiti come orrori né tantomeno come errori e peccati.
Alla domanda “Che cosa è l’eugenetica?”, Chesterton risponde che “significa cose molto diverse per persone diverse; ma soltanto perché il male trae sempre profitto dall’ambiguità”, che “è esaltata con nobili professioni di idealismo e benevolenza, con una retorica assai eloquente su una maternità più pura e una posterità più felice; ma solo perché il male è sempre adulato”, che “annovera molti seguaci le cui intenzioni sono assolutamente in buona fede… ma solo perché il male vince sempre per la potenza dei suoi magnifici babbei; e c’è stata in tutte le epoche una disastrosa alleanza fra innocenza fuori dal comune e colpa fuori dal comune”. Questi utili idioti vanno giudicati con generosità “per il bene che credono di fare e non per il male che fanno davvero”, ma il verdetto è netto: “In grande o piccola quantità, che arrivi rapidamente o piano piano, spinta da buone o cattive motivazioni, applicata a mille persone o a tre, l’eugenetica in sé è una cosa che non deve essere messa in commercio più che un veleno”.
In merito all’attacco alla famiglia, basterebbe leggere queste poche righe di Charles Darwin per rendersene esatto conto.
L’autore de “L’origine delle specie” nel 1871 pubblicò “L’origine dell’uomo”, così scrivendo: “L’uomo ricerca con cura il carattere, la genealogia dei suoi cavalli, del suo bestiame e dei suoi cani, prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, di rado o meglio mai, si prende tutta questa briga. Eppure l’uomo potrebbe, mediante la selezione, fare qualcosa, non solo per la costruzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio quando sono deboli di mente e di corpo; ma queste speranze sono utopie, e non si realizzeranno mai, neppure in parte, finché le leggi dell’ereditarietà non saranno completamente conosciute. Il progresso del genere umano è un problema difficile da risolvere; quelli che possono evitare una grande povertà per i loro figli dovrebbero astenersi dal matrimonio, perché la povertà non è soltanto un gran male, ma tende ad aumentare perché provoca l’avventatezza del matrimonio”.
Dalla fine dell’Ottocento alla Depressione del 1929, quasi la metà dei genetisti statunitensi erano coinvolti nel movimento eugenetico.Perfino lo stesso Presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt (1858-1919) – da non confondersi con il successivo Franklin Delano Roosevelt – nel 1910 così dichiarava:”Un giorno noi tutti realizzeremo che il primo dovere di ogni buon cittadino, uomo o donna, di giusta razza, è quello di lasciare la propria stirpe dietro di sé nel mondo; e che, nello stesso tempo, non è di alcun vantaggio consentire una simile perpetuazione di cittadini di razza sbagliata. Il grande problema della civiltà è di riuscire ad ottenere, nella popolazione, l’aumento degli elementi di valore rispetto a quelli di poco valore o che risultano addirittura nocivi… Per raggiungere questo obbiettivo è indispensabile prendere piena coscienza dell’immensa influenza esercitata dalla ereditarietà... Spero ardentemente che agli uomini disonesti venga impedito del tutto di procreare; e che ciò avvenga non appena la cattiva natura di questa gente sia stata sufficientemente provata. I criminali dovrebbero essere sterilizzati e ai malati di mente dovrebbe essere vietato avere dei figli… È importante che solo la brava gente si perpetui”.
Non bisogna dimenticare che a Theodore Roosevelt fu conferito il Premio Nobel per la Pace nel 1906. Un altro Premio Nobel di fisiologia e medicina, Konrad Lorenz (1903-1989), fondatore dell’etologia moderna, scriveva: «Bisognerebbe, per la preservazione della razza, considerare un’eliminazione degli esseri per noi moralmente inferiori ancora più severa di quanto non lo sia oggi [1940]... Dobbiamo – e ne abbiamo il diritto – affidarci ai migliori di noi e incaricarli di compiere una selezione che determinerà la prosperità o l’annientamento del nostro popolo… Nei tempi preistorici la selezione in base alla durezza, all’eroismo, all’utilità sociale era fatta solo dai fattori esterni ostili. Bisogna che questo ruolo venga ripreso oggi da un’organizzazione umana, altrimenti l’umanità, in mancanza di fattori selettivi, sarà annientata dalla degenerescenza dovuta all’addomesticamento”.
Perché uomini di scienza e di intelletto poterono arrivare a tali feroci conclusioni?
Credo che ci possa soccorrere in questo la figura paradossale del prete-investigatore scaturito dalla fertile mente di Chesterton: il famoso Padre Brown. Nel “Segreto di Padre Brown”, Chesterton immagina che il prete, divenuto famoso per le sue ingegnose e risolutive indagini,venga intervistato da un giornalista americano (Mr. Chace), il quale, interrogandolo sulla scienza investigativa, fa rivelare a Padre Brown il suo segreto: “La scienza è una grande cosa e nel suo vero significato è una delle più grandi parole del mondo. Ma che cosa pensano gli uomini, nove volte su dieci, quando pronunciano questa parola?... Essi considerano l’uomo dall’esterno e lo studiano come fosse un gigantesco insetto, e questo atteggiamento che essi chiamano la fredda luce imparziale della scienza, io la chiamo una luce morta ed inumana. Essi si allontanano dall’uomo, come se fosse un remoto mostro preistorico; osservano il suo ‘cranio criminale’ come se fosse una specie di strana escrescenza, simile al corno sul naso del rinoceronte. Quando uno scienziato parla di un ‘tipo’ egli non intende mai se stesso, ma sempre il suo prossimo, e probabilmente il suo prossimo più povero. Io non nego che la fredda luce della scienza possa talvolta andar bene, benché, in un certo senso, essa sia il vero contrario della scienza stessa. Invece di essere conoscenza, essa è in realtà la soppressione di ciò che conosciamo. È il trattare un amico come un estraneo, fingendo che ciò che ci è familiare sia in realtà remoto e misterioso… Bene, quello che voi chiamate ‘il segreto’ è esattamente l’opposto. Io non cerco di guardare l’uomo dall’esterno… Io sono dentro un uomo’. Padre Brown non accetta quindi il folle itinerario di quella “scienza” che possa prescindere dall’uomo nella sua integrità; non assume quel metodo scientifico che rende trascurabile l’umanità e la salvezza della persona.
In “Eugenics and other evils” Chesterton prova a classificare le varie tipologie di eugenisti. Mi colpisce in particolare l’ultima: gli Eugenisti Sperimentatori, la razza peggiore.
“È sufficiente dire che la cosa migliore che l’onesto Sperimentatore potrebbe fare è un onesto sforzo di sapere che cosa sta facendo. Anziché fare qualsiasi cosa finché non lo ha scoperto”. Quando costoro accusano Chesterton, di individualismo e di opposizione a qualsiasi interferenza dello Stato, egli controbatte di “non negare, ma anzi sostenere con forza il diritto dello Stato di interferire per curare un grande male. Ma in questo caso interferirebbe per produrre un grande male”. L’atmosfera politica nella quale l’eugenetica diventa possibile è infatti quella che Chesterton definisce “l’anarchia dall’alto”, la tendenza del governo inglese a legittimare, in nome di un presunto allargamento della libertà, ogni stravganza degli scienziati.
“Il mondo moderno è come il Niagara. È splendido, ma non è forte. È debole come l’acqua, come il Niagara. L’obiezione a una cascata non è che è assordante o pericolosa o anche distruttiva, è che non può fermarsi”. Così anche “lo Stato è improvvisamente e tranquillamente impazzito. Dice assurdità e non può fermarsi”. E il sintomo della sua follia “non che una cosa simile non gli era mai passata per il cervello. Eppure pochi giorni è che accetta ciò che è abnorme ma che non può recuperare ciò che è normale”. Ne è una prova che “la definizione di ogni crimine è diventata sempre più vaga e si diffonde come una nube che si spalma e si rarefà su paesaggi sempre più ampi”. Un’altra prova è che lo Stato si mostra sempre più succube del mito della medicina. Il compito del medico dovrebbe essere quello di “salvarci dalla morte; e, essendo la morte, per riconoscimento generale, un male, egli ha il diritto di somministrare la più strana e sconosciuta pillola che ritiene sia la cura per tali rischi di morte. Non ha il diritto di somministrare la morte come la cura per tutte le malattie umane. E non ha alcuna autorità morale per imporre un nuovo concetto di felicità, così come non ha alcuna autorità morale per imporre un nuovo concetto di sanità”. Brutto segno quando la medicina parla come la voce della verità, in base a “questa autorità sfuggente ed evanescente che scompare quando si cerca di precisarla”. Un medico non ha più diritto di chiunque altro di fissare i limiti entro i quali una vita umana può considerarsi accettabile o meno (“tutte le persone rifiuterebbero una simile responsabilità, tranne le peggiori, che la accetterebbero”). Invece il medico si considera “il consulente della salute della comunità” e ha come motto “La prevenzione è meglio della cura”. Finisce così col “trattare i sani da malati”(e se siamo tutti malati, lo è anche “il consulente della salute della comunità”, che dunque non sa come curarsi). Invece “la prevenzione non è meglio della cura. Tagliare la testa di un uomo non è meglio che curargli il mal di testa e non è neppure meglio che sbagliare la cura”. Anzi, “non solo la prevenzione non è meglio della cura, ma è addirittura peggiore della malattia. Prevenzione significa essere malati a vita, con in più l’angoscia di dover star bene”. La proibizione di bere alcolici non parte dalla considerazione dei danni che un ubriaco potrebbe fare al prossimo, ma da quelli che fa a se stesso, perché “il governo deve salvaguardare la salute della comunità … e dunque necessariamente controllare tutte le abitudini di tutti i cittadini”. Lo scenario è allarmante: “un’élite in grado di avere una precisa concezione di una nazione sana, come Napoleone aveva una precisa concezione di un esercito”. Non uno stato di anarchia, dunque, ma di tirannia. La tirannia dei medici, con il potere di intromettersi nelle faccende di tutti. Per il bene di tutti. Ma, a differenza dell’anarchia, “la tirannia è realizzabile, plausibile e anche razionale. È razionale, ed è sbagliata. È sbagliata, oltre al fatto che non si può eleggere un esperto della salute, perché un esperto della salute non può esistere”. Se si cade da un albero e ci si rompe una gamba, bisogna chiamare il medico, che avrà un’ampia conoscenza di questo campo specialistico: “Ci sono solo un certo numero di modi in cui una gamba può essere rotta; io non ne conosco nessuno e lui li conosce tutti. Si può essere specialisti della rottura delle gambe. Non si può essere specialisti delle gambe. Quando non sono rotte, le gambe sono una questione di gusti. Se il medico guarisce la mia gamba, merita una statua gigantesca… ma non ha più diritti su di essa. Non deve venire a insegnarmi come camminare, perché l’abbiamo imparato alla medesima scuola: l’infanzia… Non ci può essere uno specialista universale; lo specialista non può avere alcun tipo di autorità, se non strettamente limitata al suo campo. Non ci può essere qualcosa come un consulente della salute della comunità, perché non ci può essere qualcuno specializzato sull’universo”. Se è difficile definire l’eugenetica, definire la salute è semplicissimo: “La salute non è una qualità ma una proporzione di qualità”, “salute è natura” e, per un cattolico come Chesterton, “la natura è Dio; e nessun agnostico ha il diritto di vantare la Sua conoscenza. Perché Dio deve essere, fra le altre cose, quel mistico e complesso equilibrio di tutti gli elementi, grazie al quale alla fine noi siamo in grado di alzarci in piedi e tirare avanti; e qualsiasi scienziato che pretenda di avere esaurito questo soggetto di perfetta sanità, lo definirò il più abietto dei fanatici religiosi”. Perché solo “un’istituzione che proclamasse di venire da Dio potrebbe avere una simile autorità, ma questa è l’ultima rivendicazione che gli eugenisti possono fare. Una casta o un ordine professionale che cerca di governare gli uomini in una materia simile è come l’occhio destro di un uomo che pretendesse di governarlo o la gamba sinistra che sfuggisse al suo controllo. È follia”. Non è comunque il caso di affidare “tali poteri nelle mani di uomini che possono essersi imbrogliati o possono essere imbroglioni”. Ma gli eugenisti fanno l’esempio di una malattia ereditaria, per esempio la tubercolosi. Anche in questo caso Chesterton sarebbe contrario a un intervento eugenetico? Certamente, perché “la malattia o la sanità di un tubercoloso può essere un fattore chiaro e calcolabile. La felicità o l’infelicità di un tubercoloso è invece un altro fattore, del tutto incalcolabile”. E propone due esempi illustri: John Keats e Robert Louis Stevenson. “Keats è morto giovane, ma ha goduto più lui in un minuto che un eugenista in un mese. Stevenson era malato ai polmoni e, per quanto ne so, l’occhio eugenetico l’avrebbe saputo con una generazione d’anticipo. Ma chi eseguirebbe l’illecita operazione di eliminare Stevenson?”. E non solo per “il piacere che noi abbiamo provato grazie a lui, ma per quello che ha provato egli stesso. Se fosse morto senza scrivere una riga, avrebbe comunque provato una gioia più viva di quanta è stata concessa alla maggioranza degli uo- mini”. E con quale criterio ne avrebbero impedito la nascita? Il punto più debole dell’eugenetica sta proprio nel “non poter dichiarare chi controlla chi” e “secondo quale autorità gli eugenisti fanno quello che fanno”. Come la caccia alle streghe nel Medioevo, scandalosa non perché si credeva alle streghe, ma perché si credeva a quelli che sostenevano di poterle riconoscere. Per questo si trasformò in una feroce persecuzione nei confronti delle donne più deboli e “finì con l’essere ciò che l’eugenetica comincia a essere”. Perché, anche in questo caso, il problema è che gli eugenisti non conoscono ciò di cui si occupano. È indubbio che esista un fattore ereditario, ma è molto dubbio il suo funzionamento, assai più complesso e articolato di quanto la genetica non ci voglia far credere. Può capitare di “vedere balenare sul volto di un bambino l’immagine di qualche avo che abbiamo conosciuto”, ma abbiamo solo la possibilità “di vedere un antenato conosciuto fra un milione di antenati sconosciuti”. Inoltre, H. G. Wells, considerato da tutti un paladino dell’eugenetica, ha messo in dubbio l’ereditarietà della salute, che non è una qualità, come il colore dei capelli o la lunghezza delle membra, ma “una relazione, un equilibrio”, diventando, secondo Chesterton, “l’eugenista che ha distrutto l’eugenetica”, perché ha lanciato “una sfida alla quale non si può non rispondere”, ma che è rimasta “senza risposta”. Come un tiranno, la scienza non si preoccupa di rispondere. E “quella che sta tentando di tiranneggiare attraverso il governo è la Scienza. Quella che sta usando il braccio secolare è la Scienza. Il credo che davvero sta imponendo decime e impadronendosi delle scuole, il credo che davvero è fatto osservare con multe e arresti, il credo che davvero non è proclamato nelle omelie ma nelle leggi, e diffuso non dai pellegrini ma dai poliziotti. Quel credo che è il grande ma controverso sistema di pensiero che è cominciato con l’Evoluzione ed è finito con l’Eugenetica. Il materialismo è davvero la nostra Chiesa nazionale; perché il Governo lo aiuterà davvero a perseguitare i suoi eretici. La vaccinazione, negli ultimi cento anni, è stata messa in discussione all’incirca come il battesimo negli ultimi duemila. Ma sembra del tutto ovvio ai nostri politici imporre la vaccinazione, mentre sembrerebbe loro una follia imporre il battesimo”. Almeno l’Inquisizione, che, nel passato, perseguitava gli eretici, lo faceva in nome di una verità alla quale credeva. Gli esperimenti eugenetici invece tentano di scoprire una verità che è ancora solo un’ipotesi. Gli eugenisti “non sanno che cosa vogliono, tranne che vogliono la tua anima, il tuo corpo e il mio, allo scopo di fare una scoperta”. L’Inquisizione torturava “per un credo che esisteva potentemente nella testa di qualcuno”, l’Eugenetica “per una scoperta che non è ancora arrivata nella testa di nessuno e forse non arriverà mai”. È “la prima religione sperimentale anziché dottrinaria. Tutte le altre Chiese nazionali si sono basate sul fondamento della verità. Questa è la prima Chiesa che si è basata sul fatto di non averla trovata”. I loro adepti ammettono di esserne privi, ma sono in buona fede quando non disperano di trovarla, un giorno o l’altro. Peccato che “non abbiano nessuna idea in testa, ma solo soldi in tasca”. E se è onorevole essere disposti a “subire del male per ciò che io penso o qualcun altro pensa, non sono disposto a subire del male, e neanche ad avere delle noie, per qualsiasi cosa potrebbe essere pensata da qualcuno dopo che mi ha fatto del male”. Vaghi nella teoria, ma molesti nella pratica, gli eugenisti hanno come parola chiave “l’inevitabile”, o, come la chiama Chesterton, “l’impenitenza”. La parola d’ordine è che “non si torna indietro” ed è fondata “sul materialismo e sulla negazione del libero arbitrio”. Succede anche nella politica inglese, dove nessun governo ha il coraggio di abrogare le leggi del precedente e considera “inevitabile” ereditare e mantenere le leggi che ha trovato, anche quando il proprio partito le aveva duramente attaccate quando erano state promulgate. Segno che la caratteristica del tempo è “nutrire la sciocca idea che ciò che è stato fatto non può essere disfatto”. Un rifiuto che non è “solo una colpa intellettuale, ma anche morale” e rivela “la nostra incapacità mentale di capire l’errore che abbiamo commesso”. È perché non crediamo veramente in nessuna cosa che possiamo facilmente accettarle tutte. “Quando i critici moderni dicono che Giulio Cesare non credeva in Giove… trascurano una differenza fondamentale fra quell’epoca e la nostra. Forse Cesare non credeva in Giove, ma neppure era certo della sua inesistenza. Non c’era niente nella sua filosofia, o nella filosofia dell’epoca, che potesse impedirgli di pensare che ci fosse uno spirito particolare e predominante nel mondo. Ma i materialisti moderni non hanno permesso di dubitare, hanno permesso di credere. Perciò, mentre il pagano poteva valersi di presagi, auguri o sogni, senza la certezza che fossero avvertimenti celesti o premonizioni mentali, il cristiano di oggi, diventato pagano, non deve assolutamente prendere in considerazione fatti simili, ma deve rifiutare sia l’oracolo che l’altare. Lo scettico di oggi è stato anestetizzato contro tutto quel che di naturale c’era nel soprannaturale”.
Il paradosso consiste nel considerare “stabile la ‘condizione moderna’, sebbene proprio l’aggettivo ‘moderna’ implichi che è effimera, mentre le ‘vecchie idee’ sono considerate inaccettabili, sebbene proprio la loro antichità sia spesso la prova della loro durevolezza”. Tutto questo in nome di una libertà di pensiero e di azione che non ha alcun fondamento. “La libertà ha prodotto scetticismo e lo scetticismo ha distrutto la libertà. Gli amanti della libertà pensano di averla resa illimitata, mentre invece l’hanno resa indefinita” e la mentalità moderna si è messa nelle condizioni di “andare verso la legislazione eugenetica e verso ogni concepibile e inconcepibile stravaganza dell’eugenetica”. Frutto perverso di un’epoca che “ama i problemi e odia le soluzioni”.
E noi oggi nel 2017 ci siamo dentro pienamente. Ecco perché Charlie Gard ha colpito così tanto il nostro cuore. Perché è il simbolo di una umanità che ha perso la ragione.