Chiesa
di Claudia Cirami
Il santo dell’apologetica francese dell’800
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Un pregiudizio anticlericale, duro a morire, sostiene che per aderire alla fede cattolica occorre lasciar fuori la ragione. In realtà, qualsiasi cattolico sa bene che nessun santo ha mai abdicato al pensiero. Basterebbe citarne uno di fronte al quale pure i manuali di filosofia meno disposti a riconoscere il genio dei pensatori cristiani si sono dovuti inchinare: San Tommaso d’Aquino, al quale sono dedicate sempre molte pagine. Ci sono poi ottime ragioni per sostenere che ci fossero più neuroni funzionanti nel cervello della semianalfabeta Bernadette Soubirous, che si è arresa all’irrompere del Soprannaturale nella storia, che in quelli di Émile Zola che, pressappoco negli stessi anni, costruiva un triste romanzo, giustamente dimenticato, per mostrare che i fatti della cittadina francese non avessero origine divina. Ma si preferisce non infierire.
Altro pregiudizio anticlericale è che la cultura degli intellettuali cattolici sia in qualche modo cultura di serie B. Ma anche questo è un insignificante e per nulla veritiero luogo comune. La storia ha mostrato ampiamente come non soltanto ci sono padri delle scienze e delle arti profondamente cattolici, ma anche che anche uomini di cultura e scienziati non credenti hanno dialogato fruttuosamente con credenti che li seguivano senza imbarazzi e senza complessi di inferiorità sulle strade più ardue del pensiero.
Per questo motivo, oggi 8 Settembre, fa piacere ricordare il beato Federico Ozanam, al tempo stesso fervente cattolico e uomo di profonda cultura. Messo in ombra dalla festa della Natività di Maria (ma siamo certi che il buon Federico è solo lieto di “farsi piccolo” per far “giganteggiare” la Vergine Madre), di solito ci si ricorda poco, anzi pochissimo di lui. Eppure Federico Ozanam è un nome che merita di essere tratto fuori dall’oblio perché ha saputo coniugare come pochi il vivo desiderio di essere apologeta della fede cattolica, l’amore per la cultura e una testimonianza di vita cristiana dedicata assiduamente ai poveri. Nel giorno della sua beatificazione nella Cattedrale di Notre Dame de Paris, il 22 Agosto del 1997, San Giovanni Paolo II così lo descriveva nell’omelia: «Uomo di pensiero e di azione, Federico Ozanam è per gli universitari del nostro tempo, professori e studenti, un modello di impegno coraggioso capace di far udire una parola libera ed esigente nella ricerca della verità e nella difesa della dignità di ogni persona umana». Intuendo e legando ottimamente con l’espressione «uomo di pensiero e di azione» le varie componenti della personalità e dell’agire di Ozanam, il santo polacco mise in rilievo come non ci sia frattura o discrasia in Cristo per un fedele che vuole conciliare il pensiero e l’agire.
Federico Ozanam è certo da considerare un beato francese, ma è l’Italia che gli dà i natali, nel 1813, perché la famiglia si trova temporaneamente a Milano. Presto, però, i suoi cari, con lui al seguito, tornano in Francia e nella nazione francese, da quel momento in poi, si svolgerà sostanzialmente la sua vita professionale e affettiva. Il futuro beato Ozanam si dedica alacremente agli studi. Diritto e Lettere, in egual misura. Nello stesso tempo, però, dopo una crisi di fede adolescenziale, che aveva messo in dubbio l’educazione cattolica ricevuta in casa, Ozanam riscopre, potentemente, la fede in cui era stato cresciuto. L’adesione è convinta, radicale e anche sentitamente fattiva. Ozanam non vuole solo testimoniare con la vita, vuole essere anche apologeta di quella fede che nella Francia, sferzata dal vento degli ideali rivoluzionari, sente messa sempre più in pericolo. Alcuni incontri provvidenziali lo hanno certamente rafforzato nelle proprie convinzioni: per esempio, nel tempo dei suoi studi universitari, è stato ospite nella casa di André-Marie Ampère, che non è soltanto lo scienziato che conosciamo, ma anche l’uomo di fede. Così Ozanam inizia ad organizzare conferenze in cui difende il depositum fidei dagli attacchi secolaristi. Tuttavia, non è animoso. Altre intelligenze cattoliche – negli stessi anni – scelgono la strada della difesa, ma con altri toni. A lui, invece, non interessa lo scontro: preferisce richiamare alla Verità che professa attraverso l’argomentazione razionale.
La passione per le lettere lo porta ad approfondire Dante Alighieri, allo studio del cui pensiero ha dedicato la tesi di laurea nel 1839. Il suo amore per Dante forse è anche un omaggio alla terra in cui è nato, dove qualche volta torna volentieri. Ma Dante è anche espressione del Medioevo e Ozanam sceglie di dedicarsi allo studio di un periodo storico che è al tempo stesso – anche oggi – poco conosciuto e per tanti versi mal compreso. Il suo impegno negli studi viene “ricambiato” con una cattedra alla Sorbona. Ozanam è ora un intellettuale cattolico noto, amico di altri intellettuali. Nel frattempo matura anche la sua scelta vocazionale: indeciso se orientarsi verso il voto di castità o il matrimonio, alla fine comprende che il suo cammino di santità è da percorrere insieme alla donna che Dio mette sulla sua strada. Si chiama Amélie e gli darà una bambina. Ozanam è un marito e un padre sereno, intimamente grato a Dio della vita familiare e professionale che gli è stata donata, come si intuisce da una toccante lettera che scrive nelle fasi finali della sua vita.
Ma non si potrebbe comprendere l’avventura umana di Ozanam senza la seconda parte del suo impegno: quello a favore dei poveri. La povertà nella Francia in cui si muove il futuro beato è quella che Victor Hugo descriverà abilmente ne I miserabili. È una povertà senza sconti, durissima, che può scivolare nella miseria spirituale quando si fa insostenibile. Fantine, una dei personaggi del capolavoro di Hugo, che si prostituisce come ultima possibilità per mantenere la figlia, è il segno di una situazione degradante e profondamente ingiusta. Quel destino di povertà e dolore, miseria e sacrificio era condiviso da tanti uomini e donne. Ozanam, per una domanda provocatoria che gli viene posta durante una delle sue conferenze, si rende conto che il suo cristianesimo deve passare – adesso, subito – dal sostegno agli ultimi. Potremmo definirla la chiamata nella chiamata, uno di quegli enigmatici momenti che esistono nella vita di alcuni testimoni luminosi, da Madre Teresa di Calcutta al beato Romero. A questa “chiamata nella chiamata” Ozanam risponde prontamente.
Con alcuni compagni, egli fonda la Conferenza di Carità, successivamente chiamata Società San Vincenzo de’ Paoli. La scelta del santo a cui chiedere la protezione è certamente indicativa. Ozanam si accosta al povero con la stessa amorevole “passione” con cui Vincenzo de’ Paoli, alcuni secoli prima, si era votato al sostegno dei più bisognosi. Ma quella di Ozanam è anche riflessione attenta sulle situazioni di ingiustizia sociale che causano la povertà. Sempre nella stessa omelia per la beatificazione, Giovanni Paolo II dirà: «Comprende che la carità deve condurre ad operare per correggere le ingiustizie. Carità e giustizia vanno di pari passo. Egli ha il lucido coraggio di un impegno sociale e politico di primo piano in un’epoca agitata della vita del suo Paese, poiché nessuna società può accettare la miseria come una fatalità senza che il suo onore non ne sia colpito. È così che si può vedere in lui un precursore della dottrina sociale della Chiesa, che Papa Leone XIII svilupperà qualche anno più tardi nell’enciclica Rerum novarum». La preoccupazione verso le situazioni di ingiustizia è tipica degli intellettuali del periodo, ma mentre Hugo pensa che la miseria è figlia unicamente dell’ignoranza e che la cultura farà piazza pulita del degrado materiale e morale, in Ozanam si uniscono la convinzione che il cristiano è chiamato ad impegnarsi fattivamente per cambiare le situazioni di ingiustizia sociale, insieme all’idea che è l’azione di Dio a modificare veramente le strutture di peccato.
La morte di Ozanam è prematura. Se ne va ad appena quarant’anni, nel 1853. Eppure la sua vita è giunta allo zenit della maturità spirituale, tanto da potersi dire che muore da persona risolta, compiuta. Il pensiero, forgiato nel crogiolo dell’amore per Dio e per il prossimo, e l’azione, sorretta da una costante meditazione cristiana, hanno avuto come risultato una vita di feconda dedizione all’altro e di riflessione efficace sull’incidenza del fatto cristiano nell’esistenza umana. Tanti di noi, malati di attivismo o chiusi in uno sterile egotismo intellettuale, avrebbero bisogno della sua intercessione.