Storie
di Emilia Flocchini
Monsignor Delpini entra a Milano e siede sulla cattedra di Ambrogio
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L’ingresso solenne di monsignor Mario Delpini come nuovo arcivescovo di Milano, domenica 24 settembre, è stato segnato dal calore. Non solo quello atmosferico, in un finale di settembre che sembrava aver dato tregua all’autunno appena iniziato. Anche, e soprattutto, quello della gente, che ha affollato il Duomo arrivando in largo anticipo pur di assicurarsi un posto a sedere o, nella peggiore delle ipotesi, in piazza, nell’attesa di poter salutare l’ex Vicario generale.
Il cerimoniale prevedeva la partenza dalla chiesa di Sant’Eustorgio, ma la preparazione di questa giornata ha avuto una fase remota. Dal 7 luglio, giorno in cui è stata resa nota la nomina, monsignor Delpini ha promesso che si sarebbe messo in ascolto di tutti: ha quindi iniziato un pellegrinaggio in numerosi santuari mariani del territorio. Nel mese di agosto ha anche visitato i missionari “fidei donum” della diocesi ambrosiana in Brasile. La vigilia dell’ingresso, la sera del 23 settembre, ha pregato a lungo nella basilica di San Lorenzo Maggiore, circondato dai seminaristi che erano accompagnati dal loro rettore, monsignor Michele Di Tolve. Infine, la mattina di domenica 24, ha fatto visita ai detenuti del carcere di Opera, pranzando poi con gli Oblati Vicari (sacerdoti tenuti a una particolare obbedienza nei confronti dell’Arcivescovo) nella loro casa di corso Italia, adiacente al Santuario di Santa Maria dei Miracoli presso San Celso, ulteriore tappa dei suoi pellegrinaggi mariani, prima nella città di Milano.
Alle 16, come previsto, è arrivato alla basilica di Sant’Eustorgio. Ad attenderlo nella piazza di fronte, il Vicario episcopale per la Zona pastorale I, monsignor Carlo Faccendini e il Sindaco di Milano Giuseppe Sala. Dentro la basilica, duecento catecumeni aspettavano di ascoltarlo, insieme al parroco don Giorgio Riva e a don Antonio Costabile, Responsabile del Servizio per il Catecumenato.
Dopo aver ricevuto il dono simbolico di una capsella, ossia una piccola scatola preziosa, contenente un pugno di terra del cimitero sottostante la basilica, segno della prima presenza cristiana nella città di Milano, ha spiegato il brano del Vangelo secondo Matteo dove Gesù loda il Padre perché si manifesta ai piccoli e invita: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro». L’ha fatto secondo il suo stile, ossia con un apologo che vedeva protagonisti tre uomini, amici d’infanzia, i cui nomi erano tutti varianti di Giuseppe (Peppino, Pino e Pinuccio), che simboleggiavano altrettanti comportamenti umani di fronte alla fatica dell’esistenza. Come nella miglior tradizione delle favole, la reazione giusta era quella del terzo personaggio, che, quando si sente affaticato, corre da Gesù e dalla Sua Chiesa, esattamente come hanno fatto i catecumeni presenti.
Appena uscito dalla basilica, dopo aver ceduto il rocchetto (parte delle vesti liturgiche) che aveva indosso per metterne uno nuovo, monsignor Delpini ha sorriso nel vedere la presenza di alcuni bambini e ragazzi degli oratori, presentati a lui dal nuovo responsabile della Fondazione Oratori Milanesi, don Stefano Guidi. Ha ribadito loro ciò che già aveva scritto nel Messaggio per la Festa degli Oratori, che tradizionalmente cade la terza domenica di settembre per la diocesi milanese: Dio benedice gli inizi, perciò benedice anche il suo nuovo cammino e quello di tutti i giovani.
Quindi è salito in automobile, deludendo quanti supponevano che, esattamente come l’allora monsignor Carlo Maria Martini, sarebbe giunto a piedi. Il Duomo, intanto, si era riempito di fedeli sin da pochi istanti dopo le 15.30, orario previsto per l’apertura. Alle 17, monsignor Delpini ha messo piede in piazza del Duomo, ricevendo gli onori militari e l’omaggio delle autorità civili: il Presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni, il Prefetto di Milano Luciana La Morgese e il Sindaco Sala.
Una volta salito sul sagrato, ha visto venirgli incontro il cardinal Angelo Scola, che per un istante ha messo da parte la sua naturale riservatezza per accoglierlo con un abbraccio. Sulla porta centrale della Cattedrale, ha baciato la Croce capitolare che gli veniva posta dall’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo. Gli applausi della gente l’hanno seguito fino alla cripta dove sono conservate le spoglie mortali di san Carlo Borromeo, dalla quale è riemerso, rivestito dei paramenti sacri, per l’inizio della celebrazione eucaristica.
Il cardinal Scola gli ha quindi consegnato simbolicamente la reliquia del Pastorale che fu di san Carlo e che, essendo stato adoperato anche dai Beati cardinali Andrea Carlo Ferrari e Alfredo Ildefonso Schuster, costituisce una reliquia per contatto di ben tre arcivescovi riconosciuti come ufficialmente esemplari. «Entri così, nuovo anello, nella catena resa preziosa dal grande padre Ambrogio, dal copatrono Carlo, dalla schiera di quanti sono stati presi a servizio della nostra Chiesa», ha commentato, prima di abbracciarlo nuovamente e di prendere posto accanto ai cardinali Francesco Coccopalmerio, Renato Corti e Gianfranco Ravasi, tutti ambrosiani d’origine, che hanno assistito insieme a Scola alla celebrazione, in abito corale. Per la prima volta, quindi, monsignor Delpini si è seduto sulla cattedra arcivescovile, ricevendo l’omaggio di una rappresentanza del clero, dei religiosi e delle religiose, dei laici e di una famiglia.
La liturgia prevista, data l’eccezionalità dell’evento, era quella della memoria di sant’Anatalo e di tutti i santi vescovi milanesi, che in realtà cade il 25 settembre. La lettura del profeta Geremia appariva come una consolazione per il popolo d’Israele e, di traslato, per il popolo ambrosiano: «Non mancherà a Davide un discendente che sieda sul trono della casa d’Israele; ai sacerdoti leviti non mancherà mai chi stia davanti a me per offrire olocausti, per bruciare l’incenso in offerta e compiere sacrifici tutti i giorni». Un nuovo vescovo è un ulteriore segno dell’alleanza inscindibile tra i fedeli e Dio, che non fa mai mancare sacerdoti per il suo servizio. La bocca si apre quindi alla meraviglia una volta di più perché il Padre che è nei cieli concede a un «figlio dell’uomo», come recitava il Salmo 8 cantato subito dopo, un onore che sembra superiore alle sue capacità.
La lettera agli Ebrei ha rammentato il nuovo sacrificio istituito da Gesù, compiuto «fuori della porta della città» e proseguito nel corso dei secoli, anche a Milano, da vescovi e sacerdoti consapevoli del proprio ruolo e della propria missione. Infine il Vangelo, con la parabola della casa costruita sulla roccia, ha costituito un monito non solo per l’attuale successore di sant’Ambrogio (lui stesso, ricevendo il Pallio, ha commentato di essere stato sopraffatto dal pensiero di essere erede del suo impegno, mentre pregava di fronte alle sue reliquie), ma anche per tutto il popolo di Dio. A molti, infatti, capita di pensare che la Chiesa crollerà se avrà capi ritenuti inadeguati e non sostenuti dalla Grazia. La verità, come lo stesso monsignor Delpini tiene spesso a sottolineare, è che essa non verrà meno perché a guidarla c’è il tale pontefice, il tale vescovo o il tale parroco. Sono le chiacchiere, le maldicenze, le mormorazioni, il pessimismo e la sfiducia che, invece, possono tendere a disgregarla.
Ma la Chiesa è anzitutto il luogo dove si manifesta la gloria di Dio, quella stessa gloria che è menzionata nel motto vescovile che Delpini si è scelto dal 2007: «Plena est terra gloria eius». La stessa che ha spinto lui, per la prima volta dall’altissimo pulpito del Duomo, a chiamare «fratelli» e «sorelle» tutti coloro che sono convenuti, per le più svariate ragioni, a quella celebrazione. I fedeli del popolo di Dio, anzitutto, ma anche i rappresentanti e i fedeli delle altre chiese e confessioni cristiane (per i quali ha avuto un momento particolare nella cappella dell’Arcivescovado), le persone di religione ebraica e islamica, ma anche quanti erano presenti «forse per dovere, forse per curiosità, forse perché apprezzano le opere buone della Chiesa Ambrosiana e dei cattolici milanesi», le autorità civili e militari.
Nell’impegno per far comprendere a tutti che la terra è piena della gloria di Dio, che non è tanto «una sorta di irruzione trionfalistica», quanto «l’amore che si manifesta», monsignor Delpini ha dichiarato di non aver nessun progetto pastorale come s’intende comunemente. Piuttosto, una supplica, insistita e accorata: «Vi prego: lasciatevi avvolgere dalla gloria di Dio, lasciatevi amare, lasciatevi trasfigurare dalla gloria di Dio per diventare capaci di amare!».
Nell’ultimo saluto prima della benedizione solenne, l’Arcivescovo si è impegnato a non pronunciare «qualche parola infelice», col rischio di far passare in secondo piano i contenuti più importanti delle sue parole. È già successo nel saluto finale a monsignor Pierantonio Tremolada lo scorso 16 settembre: è rimasta più impressa la sua menzione delle multe per eccesso di velocità da parte del vescovo eletto di Brescia, rispetto al fatto che «Nelle funzioni e nelle cariche siamo tutti sostituibili, nell’amicizia, invece, no». Per questo, dopo un paio di battute all’indirizzo di chi aveva cercato di dissuaderlo dall’assumere il nuovo incarico, ma anche ai suoi parenti, preoccupati del suo abbigliamento al di là delle celebrazioni liturgiche, ha dichiarato di aver accettato perché si fida dei sacerdoti e dei diaconi ambrosiani: «Il compito sarà anche impegnativo, però non è che sei tu da solo a dover fare chissà quali imprese», si è detto in coscienza. Infine, la lunga processione d’uscita, con molti fedeli che cercavano in tutti i modi di farsi notare da lui, anche solo per una stretta di mano.
Qualche fedele ambrosiano può aver avuto l’impressione di sentirsi, all’ufficializzazione della sua nomina, come se qualcuno gli presentasse un regalo impacchettato, dicendo contemporaneamente che cosa nascondessero la carta e i fiocchi. In verità, non è detto che l’involucro corrisponda esattamente al suo contenuto. Così è per il nuovo Arcivescovo: nessuno può sapere le sue motivazioni intime, ma tutti possono vedere il suo tentativo di mostrare il volto sorridente, ma non per questo poco serio, della Chiesa ambrosiana e universale, che risplende della gloria di Dio.