Politica
di Mario Adinolfi
Il Popolo si è ricordato
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C’erano una volta Alessandro Natta o Achille Occhetto che si dimettevano dopo un’elezioni finita male. Per la verità lo fecero anche Walter Veltroni e Massimo D’Alema, entrambi dopo una tornata amministrativa, mentre a Pierluigi Bersani furono fatali le elezioni politiche del 2013. Ma insomma, è tradizione delle leadership post-comuniste post-1989 di lasciare campo libero dopo una sconfitta considerata troppo evidente da poter essere ignorata. Matteo Renzi però è adamantino: a Roma stava al 41% nel 2014, nel 2016 ha consegnato la città alla Raggi, ieri ha visto il Pd nel municipio Roma X scendere sotto il 14%, sorte analoga in Sicilia, regione graziosamente consegnata al centrodestra così come già era accaduto con la Liguria, che si aggiungono a Lombardia e Veneto. L’elenco delle città perse in due anni poi è infinito: Torino, Genova, Venezia, la rossissima Livorno oltre ovviamente alla già citata Capitale. Ma il più divertente di tutti è Angelino Alfano, che di solito riesce a salvarsi non presentando il simbolo alle amministrative, stavolta nella sua Sicilia dopo cinque anni seduto in ministeri chiave come Interni ed Esteri non poteva esimersi. Ca-po-la-vo-ro: manco il quorum è riuscito a centrare, disfatta totale nonostante la vagonata di ministri e sottosegretari avuti in cinque anni. Ora lo abbandonano tutti, povero Angelino, i suoi fedelissimi tornano tutti sotto il padrone Silvio che riaccoglie tutti ma non lui, il reprobo traditore (gli altri non è che hanno tradito di meno, ma tant’è). Alfano si consoli: i suoi lo lasciano, i compagni di partito-merende di Renzi lo vorrebbero accoltellare, tipo congiurati brutali. Il caro vecchio stile degli uomini d’apparato comunista, che dopo una sconfitta si dimettevano, resta comunque una lezione di leadership davanti a questi due ragazzotti arroganti. Renzi e Alfano, avete visto che il popolo si è ricordato?