Chiesa
di Lucia Scozzoli
Cosa accade veramente nella curia di Modena
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I giornalisti certe volte mostrano guizzi di genialità comunicativa, specie quando inventano espressioni o appellativi tranchant che poi vengono copiati da tutti i colleghi per sintetizzare situazioni ed eventi complessi: è questo il caso dell’“editto di Modena”, partorito da una nota testata online, per descrivere il contenuto dell’editoriale dal titolo pastorale “Discernere per essere veramente ecclesia” che l’arcivescovo di Modena, don Erio Castellucci, ha scritto per il settimanale “Nostro Tempo”, supplemento domenicale di Avvenire, e pubblicato il 22 ottobre scorso.
In questo pacato editoriale, il vescovo esortava a non invitare nelle parrocchie «veggenti, carismatici, giornalisti e intellettuali che manifestano un dissenso “sottile o aperto” verso la Chiesa ufficiale e soprattutto verso Papa Francesco», ma piuttosto di organizzare tali eventuali incontri in luoghi che non dessero adito ad una sottintesa legittimazione da pare della Chiesa dei contenuti veicolati, per non creare confusione tra i fedeli. Pare infatti che nella diocesi di Modena fossero avvenuti alcuni eventi un po’ inquietanti, tipo conferenze tenute da esorcisti non autorizzati, dal tenore tanto angosciante da provocare addirittura qualche malore.
Dal desiderio di prendersi cura dei fedeli, in particolar modo dei più fragili e sensibili, è nata la decisione da parte del vescovo di divulgare la lettera, la quale non aveva affatto il tono dell’editto, quanto piuttosto dell’omelia che invita al discernimento: «Chi ha bisogno di rivelazioni “private” (che siano di derivazione mistica o intellettuale) rispetto alla rivelazione pubblica della Scrittura, manifesta una debolezza. Il cristiano non è obbligato a credere nelle rivelazioni private, neppure in quelle stabilite come autentiche dalla Chiesa: figuriamoci in quelle ancora in fase di discernimento». E poi, «se la gente cerca cose straordinarie rispetto a quelle che il Signore ci offre quotidianamente, non sarà perché fatichiamo a rendere attraenti i suoi doni ordinari?» A chiusura del suo intervento l’arcivescovo riflette sulle critiche ai Papi: «Continuo a pensare che lo Spirito Santo agisca sul successore di Pietro con maggiore intensità che non sui giornalisti, sui veggenti, sui carismatici e sugli intellettuali».
Davvero non è chiaro dove fosse lo scandalo sotteso a queste linee guida: prima di invitare chicchessia a parlare in una parrocchia, è il caso di informarsi sui contenuti che verranno divulgati e domandarsi se essi siano o meno in accordo con il magistero. Per la libera professione di tutte le libere idee esistono tutti gli altri palchi laici di questo mondo. Queste linee guida pastorali sono di tale buonsenso che le abbiamo invocate tutti quando abbiamo visto salire sul pulpito di chiese addirittura abortisti come la Bonino o Viale, o politici eticamente spregiudicati, come Renzi e la sua combriccola del PD, non si capisce perché facciano tanto scalpore a Modena.
In realtà a scatenare la furia di taluni giornalisti è stata, almeno formalmente, l’espressione “Chiesa ufficiale”, perché aprirebbe la questione non da poco di definire cosa sia e, soprattutto, chi ne faccia parte e chi no: ad esempio, i promotori dei famosi dubia a papa Francesco sono Chiesa ufficiale? O i famosi 62 firmatari della lettera di dissenso al pontefice, sono Chiesa ufficiale?
La risposta non si è fatta attendere molto, ci hanno pensato gli eventi a classificare tali soggetti. Infatti dopo la pubblicazione delle raccomandazioni del vescovo, nelle parrocchie hanno iniziato ad essere più attenti e a verificare, come suggerito dal loro pastore, la provenienza dei personaggi coinvolti in iniziative e conferenze, e così una signora che aveva organizzato un incontro pubblico con monsignor Antonio Livi si è resa conto di aver invitato proprio un personaggio piuttosto in vista tra i gli aperti contestatori a papa Francesco. Presa dal dubbio, si è confrontata col vescovo, il quale le ha suggerito, per pastorale prudenza, semplicemente di spostare l’incontro dai locali parrocchiali ad un teatro comunale o privato, cosa che la signora, in perfetto accordo con don Castellucci, ha cercato di fare, comunicando il cambiamento a Livi. A questo punto, però, ha ricevuto in risposta un’espressione alquanto inquietante: «O in una parrocchia, o niente». E poi Livi è corso a rilasciare a “La fede quotidiana” un’intervista dove, tra una critica alla Chiesa ed una al Papa, infila pure questa incredibile dichiarazione: «Purtroppo devo denunciare una persecuzione contro di me e contro tutti quelli che come me non si allineano alla “dittatura del relativismo”, che sembra il pensiero dominante, non solo in politica ma anche in teologia. In una parrocchia di Modena mi avevano invitato a parlare dei problemi pastorali derivanti dall’ideologia del relativismo, ma ho dovuto cancellare la conferenza su ordine del Vescovo».
Peccato che non sia affatto vero, ma tanto è bastato per scatenare l’appetito delle solite testate online anti bergogliane per gridare all’applicazione della censura da Soviet.
Non paghe di ciò, le truppe cammellate a caccia di nemici immaginari hanno imbastito un ricco film anche su un’altra vicenda, che questa volta li riguardava da vicino: il centro culturale Il Faro ha ottenuto da parte del vescovo il riconoscimento di piena ecclesialità, con l’assegnazione di un assistente diocesano. Ma tale associazione nel suo statuto, all’art.2.2.b, riporta testualmente come obiettivo:
«Orientare i soci e il pubblico nel campo dell’editoria e in merito a pubblicazioni di loro interesse; in particolare, collaborando con la rivista “Il Timone” ed essendo parte della rete dei centri culturali riuniti sotto il nome di “amici del Timone”. Assume particolare importanza l’impegno a promuovere la diffusione di tale rivista».
Ora è inutile nascondersi dietro un dito: la brillante invenzione giornalistica del caso “editto di Modena” è da ascrivere al direttore del Timone, sebbene attraverso l’articolo su un’altra testata. Quindi il vescovo ha domandato al centro culturale di dichiarare da che parte stavano in questo contenzioso mediatico sollevato giustappunto dal direttore suddetto. E l’associazione ha scelto senza indugio di rinnegare Cascioli stampando una bella paginata di presa di distanza dalle elucubrazioni infamanti di cui sopra per restare aderenti alle linee guida del proprio pastore.
È facile immaginare che costui se la sia un po’ presa, ma accusare il vescovo addirittura di aver scritto sms minatori ad un suo giornalista, con la minaccia paradossale “*avviso per la Curia di Modena: li abbiamo conservati tutti*” ci pare francamente eccessivo. Avviso per la Testata: anche la curia di Modena li ha conservati tutti.
Io credo che fare il vescovo sia un lavoro davvero faticoso, che richiede secchiate di Spirito Santo e dosi di incredibile pazienza: da una parte ti tocca ricevere gli strali dei progressisti che si arrabbiano perché ritiri l’assistente diocesano al gruppo scout che pretende di nominare educatore un uomo che si è unito civilmente con un altro uomo (anche questo accade a Modena, se non lo sapete), e dall’altra ricevi 300 email di insulti da parte di ignari lettori di testate che fomentano un’ostilità ingiustificata per un’azione pastorale condivisibilissima, anzi, in altre situazioni addirittura auspicata (vedi Renzi dal pulpito di della basilica di Pæstum).
Mettetevi d’accordo: il vescovo è progressista o conservatore? Si diceva “molti nemici molto onore”, o qualcosa del genere. Ma sarebbe meglio sostenere i pastori, non demolirli, o almeno alzare il telefono e verificare una notizia prima di indire guerre sante.