Politica
di Emiliano Fumaneri
I politici che incedono come l’infida seppia
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Circolano facili slogan. Uno di questi è «il cuore delle intenzioni si capisce dallo stile». Secondo i dispensatori di simili perle di saggezza, la moderazione è per essenza evangelica. Uno stile comunicativo improntato all’acquiescenza aprirebbe già le porte del Paradiso. Questa infatti è la Legge ed i Profeti.
Nulla di più falso e superficiale. Uno stile felpato e suadente, dai toni apparentemente concilianti, non è affatto sinonimo di mitezza evangelica. In campo politico, ad esempio, queste modalità sono caratteristiche di quei circoli elitari che non cercano direttamente il consenso – disdegnano infatti di misurarsi direttamente con la prova elettorale – ma ambiscono ad organizzare solo poche migliaia di persone e, per loro tramite, gestire occultamente il potere.
In casi come questi la moderazione dello stile è copertura di una volontà di potenza e dominio, come nel caso della tattica di guerra che il letterato cinese Liang Shiqiu definisce, nella sua “Nobile arte dell’insulto”, «arte dell’indiretto». È la strategia diplomatica per eccellenza. Per imporsi su un avversario, dice Liang Shiqiu, lo scontro aperto è controproducente se non si è in posizione vantaggiosa.
Per spiegarsi lo scrittore orientale ricorre a una duplice immagine: il leone e la seppia.
Il leone può fare ricorso alla forza per cacciare le prede e sopraffarle col proprio vigore fisico. Caccia prevalentemente di giorno, dove riesce a conquistare più prede. È il simbolo dell’attacco diretto e aperto, dello scontro frontale.
Ma il leone è in difficoltà con le prede più deboli ma più veloci di lui. Meglio in questo caso, proseguendo con la similitudine animale, agire come una seppia, il mollusco scaltro e guardingo che per difendersi sbuffa velocemente una nuvola d’inchiostro. Intorbidire l’acqua disorienta il predatore con un falso bersaglio mentre la seppia schizza in un’altra direzione, dileguandosi. La seppia trascorre molto del suo tempo nascosta nel sabbioso fondale marino, completamente mimetizzata. Così insabbiata può scrutare con attenzione e pazienza quanto la circonda per scovare un potenziale nemico o per sorprendere qualche preda, che provvedere a catturare coi suoi tentacoli muniti di ventose.
Il procedere della seppia, immagine dell’attacco indiretto, indica la maestria dell’espressione allusiva, silenziosa, camuffata.
L’apparenza è vitale per l’attacco indiretto, trasversale, obliquo, che schiva ad ogni costo lo scontro frontale con l’avversario in quanto potenzialmente distruttivo, dunque troppo pericoloso. Così ad esempio l’Unione Sovietica impiegava la forza militare solo dopo un attento calcolo della «correlazione di forza», attaccando solo laddove i rapporti di forza erano particolarmente favorevoli.
Ciò spiega perché chi segue la via della seppia curi con estrema attenzione la forma. Il rispetto delle forme aiuta a celare i propri movimenti, è l’equivalente della nuvola d’inchiostro della seppia.
Questa è la legge della seppia: colpire di fianco, attaccare obliquamente; servirsi di espressioni paludate, ricercate, eleganti; mantenere un contegno pacato; allearsi ai lontani per attaccare i vicini; ritirarsi per avanzare, sapersi fermare al momento giusto.
Un tale approccio, discreto e vellutato, mira ad aggirare l’avversario privandolo di ogni riferimento fisso, rendendogli così difficoltosa la difesa. Nessun profilo netto, nessuna identità chiara, nessun obiettivo preciso da colpire. Evidente il guadagno in imprevedibilità. Lo scopo è di portare ad esaurimento l’energia dell’avversario con una apparente non resistenza. Ma il Vangelo, qui, non c’entra nulla. Cosa c’entra l’arte della seppia col leone di Giuda? La virtù dell’astuto mollusco non è che la contraffazione, la maschera della virtù cristiana, una falsa emulazione della nonviolenza evangelica, la quale non è una strategia subdola e sleale per conquistare la vittoria terrena. La tattica della seppia consiste infatti nel far sfiancare l’avversario, esaurendone l’energia mantenendo al contempo la propria per lo scontro finale.
Per questo il mollusco adotta movenze felpate, trincerandosi dietro i formalismi. E se proprio deve difendersi, a seconda delle convenienze è capace di passare dal lupo di Fedro, che opprime l’agnello con falsi pretesti, a quello di Esopo che si fascia con le vesti della pecora per razziarla. Donde la consuetudine di rispondere alla spada col veleno del discredito, negandosi allo scontro aperto ma cercando di degradare moralmente l’avversario attraverso la suggestione velenosa, l’illazione, l’insinuazione maligna.
Chi segue la via della seppia è maestro nell’arte della persuasione. Sa come giocare con emozioni e sentimenti per guadagnare le menti e i cuori alla propria causa. Maneggia alla perfezione il ragionare “ad misericordiam”, col quale si cerca di far accettare un pensiero o una certa opinione ideologica mediante un appello alla pietà. C’è chi sull’emotivismo ha costruito una intera carriera politica presentandosi come un perseguitato politico, un isolato, un Giobbe sofferente accerchiato dai nemici.
È sempre la debolezza che, come aveva ben visto Nietzsche, si traveste da virtù per sopraffare surrettiziamente la forza. Diffidate dei persuasori travestiti da “moderati”.