Politica
di di Emiliano Fumaneri
I sofismi pindarici dell’elettore cattoleghista
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Era prevedibile che con l’approssimarsi della competizione elettorale sarebbero venuti allo scoperto anche gli intellettuali organici della Lega. Qua e là in Internet, infatti, cominciano già a circolare pezzulli propagandistici scritti allo scopo di convincere l’elettorato cattolico che la regolamentazione dello “stupro a pagamento”, così Rachel Moran chiama la prostituzione, è una questione “complessa” sulla quale non vi possono essere certezze, né mai vi saranno. Tutto sommato, quindi, sarebbe lecito per il cattolico convergere su una posizione regolamentarista e rassegnarsi a considerare la prostituzione un’attività lavorativa come un’altra, soggetta a tassazione e a regolari controlli amministrativi.
Per accreditare questi goffi tentativi di depistaggio – lo scopo è far credere che la prostituzione sia un tema minore, elettoralmente irrilevante – si invoca, come da prassi collaudata, l’autorità combinata dell’ormai leggendario “realismo cattolico” (indistinguibile dal più cinico dei machiavellismi, ma tant’è) e dell’arcinoto “male minore”, nonché Tommaso, Agostino e la pratica della “riduzione del danno” nello Stato Pontificio. Lo zelo giustificazionista dei cattoleghisti si spinge a tal punto da arruolare gli argomenti usati dalla propaganda radicale (“la prostituzione è un fenomeno esistente, di fatto già legalizzato; bisogna regolamentarlo”) in altre tristi circostanze. Potenza dell’ideologia…
Ci occuperemo prossimamente delle forzature della propaganda cattoleghista. Per ora sovvengono le vibranti parole rivolte da Pio XII, il 28 settembre 1948, all’Associazione internazionale per la Protezione della Giovane. Papa Pacelli, nel lodare l’impegno nel contrasto alla prostituzione, si sofferma sulla singolare opposizione incontrata, nel loro servizio antitratta, dalle giovani donne cattoliche: «L’ostacolo più formidabile, forse, per la vostra azione non è già l’ostilità dichiarata dei nemici di Dio e delle anime, né quella dei libertini che si vedono strappare la preda, né quella anche più ignominiosa dei trafficanti che si arricchiscono spudoratamente con ciò che con orribile, ma rigorosa esattezza vien detto «la tratta delle bianche». Questa ostilità, nonostante la sua infamia, alla fin fine è ancora abbastanza comprensibile. Ma la cosa più strana, dato il valore della posta in gioco, è che vi vediate costrette a superare l’indifferenza, la noncuranza e persino l’ironia di persone che si credono cristiane perbene, cattoliche convinte e praticanti. Aprire loro gli occhi, richiamarle alla coscienza della gravità del male e della loro propria responsabilità, destarne l’interesse, guadagnarne la simpatia, ottenerne il concorso sotto qualsiasi forma, non è certo la parte meno importante né meno ardua della vostra missione».
Il Papa appella questi falsi devoti come «cattolici negativi». Sono quei legalisti dalla mentalità angusta per i quali il bene si identifica con una virtù negativa: “non fare qualcosa”. Il peccato, per costoro, è l’infr-azione di una legge.
Pio XII riserva loro parole di inusitata durezza: «Qui non possiamo evidentemente numerare tutti gli errori, le prevenzioni, i sofismi di codesti cattolici negativi. Ci basterà indicare in una parola la causa fondamentale di tanta aberrazione; essa proviene soprattutto da profonda ignoranza e da grossolane confusioni in materia di dottrina e di morale, anche nell’ordine puramente materiale, e a maggior ragione in quello della fede. Pertanto, solo quando i cristiani o le cristiane vedranno nella religione qualche cosa di diverso da un codice di leggi arbitrarie, soggette ad evolversi col tempo, con l’opinione o il capriccio, con la moda, qualche cosa di diverso da un rituale di formalità vuote di senso; quando saranno ben radicati nella fede, nella esistenza, nella maestà di Dio e nella sua giustizia; quando sapranno riconoscere, e non soltanto con parole sterili, la dignità naturale di ogni creatura umana, senza distinzione di sesso o di condizione e più ancora il suo destino per la adozione alla vita soprannaturale, a una vita veramente divina; quando gusteranno il sapore di quelle grandi lezioni dell’Apostolo: «Non sapete che i vostri corpi sono membra di Gesù Cristo?... Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi, che avete ricevuto da Dio, e non siete più voi stessi? Voi infatti siete stati comperati a grande prezzo. Glorificate dunque Iddio e portatelo nel vostro corpo»; allora, diciamo, il cristiano e la cristiana, spogliandosi di ogni egoismo, di ogni fariseismo, rifletterà che la dignità di quella giovane che passa spensierata, sventata, non è da meno che la propria, ma che il cuore di esse è sì fragile che un nulla può spezzarlo per sempre, l’anima sì delicata che un niente può macchiare per sempre il candore».
Cosa ha voluto dirci il Pastor Angelicus se non che l’amore cristiano è una virtù positiva? L’amore non consiste nel rispetto scrupoloso di un’arida precettistica. Sta nel “fare qualcosa”. In questa prospettiva il peccato sommo consiste nell’omissione, nel bene che non è stato realizzato. Il bene non fatto, più che il male evitato. La morale fatta di precetti negativi prescrive di non rubare, più che di beneficiare il prossimo; di non tradire la moglie, più che di amarla con tutte le proprie forze. Donde la meticolosa attenzione a non oltrepassare i confini del lecito, del consentito, come se la giustizia consistesse in una perpetua astensione.
La morale positiva dell’amore invece trascende e riassume questi precetti in una virtù attiva: se amo davvero il mio prossimo, certo non lo deruberò; se amo davvero mia moglie, certo non la tradirò. L’amore è fattivo. Non si accontenta di regolamentare la schiavitù, trincerandosi dietro ai formalismi della legge.
Pertanto, conclude papa Pacelli, «quando infine ogni cristiano, ogni sincera cristiana considererà il compito sociale dell’uomo e della donna, che è quello di perpetuare la società umana, di mantener in vita e di accrescere quaggiù il corpo mistico di Cristo, di formare, membro per membro, l’eterna città degli eletti; allora tutti, compresi della propria responsabilità, non si contenteranno di rispettare per proprio conto la giovane pericolante, ma vorranno ad ogni costo salvarla, e capiranno la generosità dei vostri sforzi e vi apprezzeranno per il loro contributo».
È questo il vero realismo cattolico: il realismo dell’amore, una fedeltà liberante. La vera misericordia è liberare i prigionieri. Opera di misericordiosa è la lotta per spezzare le catene della schiavitù. Troppo spesso, invece, i predicatori della “morale negativa” spacciano per “realismo cristiano” una dottrina rinunciataria, alienante che canonizza lo status quo senza mai discutere, se non astrattamente, i rapporti di forza della società (quieta non movere…). Ma è il realismo di Machiavelli, non il realismo di Cristo – per dirla col cardinale Journet.
I veri testimoni della fede, come don Oreste Benzi, non hanno esitato a battersi contro la legalizzazione di una piaga così gravemente offensiva della dignità umana. Così infatti viene definita la prostituzione dal Catechismo della Chiesa Cattolica, al numero 2355: una «piaga sociale» che «offende la dignità della persona».
Non è certo un caso che la regolamentazione dello stupro a pagamento trovi i suoi più accesi supporter nei circoli intellettuali vicini a una destra becera come quella di Salvini: la destra che lucra voti appellandosi alla pancia, la destra della “volgare eloquenza” che deve le sue fortune politiche al cinico sfruttamento delle paure individuali. La Lega per avere successo deve sollecitare gli umori elementari, il fondo oscuro e primordiale delle masse. Deve attingere a uno stato d’animo caratterizzato dalla mescolanza di paura, rabbia, confusione, indignazione, eccitazione. È il sottosuolo psicologico su cui prospera il salvinismo.
Il tipo umano a cui fa riferimento la Lega è l’uomo pulsionale, il bimbo viziato infinitamente desiderante e bisognoso di protezione. In sintesi, il tipo umano prodotto dalla “mutazione individualistica” del ‘68: l’uomo rimasto soltanto “maschio”, un fascio di istinti scoordinati. Il vero trait d’union tra Berlusconi e Salvini va individuato a questo livello. Non dimentichiamolo mai: è stata la televisione – in prima linea le tv di Berlusconi - a interpretare e metabolizzare il processo individualista. È stata la televisione commerciale a rendere “pop” la cultura libertaria del ‘68.
Il chiaroveggente Augusto Del Noce aveva previsto con decenni d’anticipo l’ascesa di una destra cinicamente materialista e ben più oppressiva di quella vecchia destra che, a modo suo, conservava ancora dei princìpi ideali. La destra salviniana è una destra dai tanti valori ma senza ideali, impegnata a dare una veste identitaria all’individualismo proprietario della cultura libertaria (“padroni a casa nostra”).
Così Salvini può far tranquillamente convivere nello stesso partito, importando in Italia la stessa operazione tentata in Francia dal Front National di Marine Le Pen, un’anima da Family Day (Cristina Cappellini e qualche esponente del Comitato Difendiamo i Nostri Figli), un’anima arcobaleno (Efe Bal) e un’anima libertaria (Giulia Bongiorno). Dall’anti-gender al pro-gender passando per il trans-gender. Tanti “valori aggiunti” per un partito senza ideali.
Come ben sapeva il divo Giulio, uno che di queste cose se ne intendeva, il potere logora già prima di concedersi ai suoi adoratori