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di Lucia Scozzoli

Cambridge Analytica & Facebook: pasticcio enorme

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Lo scandalo Facebook - Cambridge Analytica, sollevato meno di una settimana fa dal Guardian e dal New York Times, con la pubblicazione di due inchieste parallele scottanti, non si placa: l’accusa è che Cambridge Analytica abbia influenzato le intenzioni di voto di milioni di persone grazie all’uso sapiente di dati personali acquisiti illecitamente, all’insaputa degli elettori stessi, in occasione delle elezioni americane e forse anche del voto sulla Brexit.

Zuckerberg, dopo qualche giorno di silenzio, è stato costretto a intervenire con un post pubblico in cui ha fatto mea culpa, poi ha rilasciato anche un’intervista alla CNN in cui ha manifestato tanti buoni propositi per il futuro: «è certo che ci saranno ancora tentativi di influenzare il voto, ci stanno lavorando e noi dobbiamo essere in grado di fronteggiarli».

Facebook ha subìto pesanti perdite in borsa e ora Zuckerberg si dichiara disposto a comparire davanti al congresso e rispondere ad ogni domanda, essendosi comunque già dichiarato colpevole.

Ma che ha fatto davvero?

Cambridge Analytica è stata fondata nel 2013 da Robert Mercer, un miliardario imprenditore statunitense con idee molto conservatrici e con rapporti piuttosto stretti con Steve Bannon, consigliere e stratega di Trump durante la campagna elettorale e poi alla Casa Bianca. Questa azienda è specializzata in profilazione, cioè raccoglie dai social network un’enorme quantità di dati sui loro utenti: quanti “Mi piace” mettono e su quali post, quali contenuti commentano, in che luogo condividono immagini e post, dove navigano, e così via. Questa ingente mole di dati viene poi elaborata da complessi algoritmi e modelli per classificare e catalogare ciascuno secondo una serie di profili utente, con un approccio psicometrico.

La psicometria, a volte anche chiamata psicografia, si concentra sulla misurazione di tratti psicologici, come la personalità. Negli anni ‘80, due team di psicologi hanno sviluppato un modello che cercava di valutare gli esseri umani sulla base di cinque tratti della personalità, noti come i “Big Five”.Questi sono: apertura (quanto sei aperto a nuove esperienze?), coscienziosità (quanto sei un perfezionista?), estroversione (quanto sei socievole?), gradevolezza (quanto sei premuroso e cooperativo?) e nevroticismo (ti agiti facilmente?).Basandosi su questi aspetti – conosciuti anche con l’acronimo OCEAN - possiamo fare una valutazione relativamente accurata del tipo di persona che abbiamo di fronte.Ciò include i loro bisogni e paure e il modo in cui è probabile che si comportino.I “Big Five” sono diventati la tecnica standard della psicometria.Ma per molto tempo, il problema con questo approccio è stato la raccolta dei dati, perché comportava la compilazione di un questionario complicato e molto personale. Poi è arrivato Internet.E Facebook.

Sulla rete si trovano ormai, a saperci e poterci accedere, tutte le informazioni che possono dire chi siamo con una precisione millimetrica: accettiamo carte fedeltà proposte dai negozianti senza mai leggere l’informativa sulla privacy e poi le usiamo, anche comprando su internet. Abbiamo tessere per ogni negozio e su quelle non esiste il segreto bancario e la sicurezza dei dati come per le transazioni di pagamento.

A tutti sarà capitato di cercare un articolo su Amazon, senza comprarlo, e poi trovarsi riproposto lo stesso oggetto da banner pubblicitari su altri siti in cui navighiamo: lasciamo tracce indelebili in ogni nostro passaggio in rete.

La Cambridge Analytica raccoglie per l’appunto queste tracce, le mette insieme, le valuta, le dovrebbe pseudonimizzare (cioè rendere anonime mediante aggregazione) e le vende a chi è interessato a piazzare qualche prodotto o servizio sul mercato ed ha bisogno di sapere cosa vuole la gente. Naturalmente la Cambridge Analityca non è l’unica azienda che si occupa di questo: esistono moltissime società che si sono buttate nella mischia, alcune delle quali, soprattutto in ambito di analisi di affidabilità economico/finanziaria di soggetti giuridici, sono abituali partner di molte aziende. Per chi poi produce direttamente per il consumatore, indirizzare il marketing è una priorità assoluta, per cui poter accedere a dati di profilazione delle persone fisiche fornisce un indubbio vantaggio competitivo.

La Cambridge Analytica, però, è particolarmente evoluta nel suo settore: infatti i suoi responsabili sostengono di riuscire a far leva non solo sui gusti degli utenti, come fanno già altri sistemi analoghi per il marketing, ma sulle loro emozioni, attraverso l’uso di un algoritmo sviluppato dal ricercatore di Cambridge (da qui il nome dell’azienda) Michal Kosinski, che ha lavorato per anni per migliorarlo e renderlo più accurato. Il modello è studiato per prevedere e anticipare le risposte degli individui.

Nel 2012, Kosinski ha dimostrato che sulla base di una media di 68 “mi piace” di Facebook da parte di un utente, era possibile prevedere il colore della pelle (con un’accuratezza del 95%), l’orientamento sessuale (88% di accuratezza) e l’affiliazione al partito democratico o repubblicano (85%). Ma non si è fermato qui.L’intelligenza, la fede religiosa, così come l’uso di alcool, sigarette e droghe, potrebbero essere tutti determinati. Dai dati è persino possibile dedurre se i genitori di qualcuno sono divorziati.

Gli algoritmi di Kosinski sono in grado di valutare una persona meglio del collega di lavoro medio, semplicemente sulla base di dieci “Mi piace” di Facebook. 70 “Mi piace” sono sufficienti per saperne di più degli amici personali, 150 per superare quel che sanno i genitori e 300 “Mi piace” per sorpassare pure il partner.Un numero più elevato permette di conoscere un persona meglio di se stessa.

L’aspetto più interessante del meccanismo è che può essere usato al contrario: con i dati giusti si possono cercare profili specifici, ad esempio tutti i padri ansiosi, tutti gli arrabbiati introversi, o forse anche tutti i democratici indecisi. In sostanza, Kosinski ha inventato una sorta di motore di ricerca per persone.

All’inizio del 2014, Kosinski è stato avvicinato da un giovane assistente professore nel dipartimento di psicologia chiamato Aleksandr Kogan, interessato alle sue ricerche. Kogan lavorava per la SCL o Laboratori di comunicazione strategica, la principale agenzia di gestione elettorale, con l’obiettivo dichiarato di influenzare le elezioni a favore dei suoi clienti.

Chi possiede esattamente SCL e le sue diverse filiali non è chiaro, grazie a una complessa struttura societaria, del tipo visto nella Companies House britannica, i Panama Papers e il registro aziendale del Delaware. Alcune delle propaggini SCL sono state coinvolte nelle elezioni dall’Ucraina alla Nigeria, hanno aiutato il monarca nepalese contro i ribelli, mentre altri hanno sviluppato metodi per influenzare i cittadini dell’Europa orientale e afgana per la NATO. E, nel 2013, SCL ha creato una nuova società per partecipare alle elezioni negli Stati Uniti: Cambridge Analytica.

Quando Kosinski si è reso conto che la compagnia di Kogan avrebbe potuto riprodurre lo strumento di misurazione Big Five basato su “Mi piace” di Facebook per usarlo a fini elettorali, ha immediatamente interrotto i contatti con Kogan e ha informato il direttore dell’istituto, scatenando un complicato conflitto all’interno dell’università.L’istituto era preoccupato per la sua reputazione. Aleksandr Kogan si è poi trasferito a Singapore, sposato e ha cambiato il suo nome in Dr. Spectre.Michal Kosinski ha terminato il dottorato, ha ottenuto un’offerta di lavoro da Stanford e si è trasferito negli Stati Uniti.

Durante le elezioni del 2016 Hillary Clinton ha fatto molto affidamento sull’eredità del primo “presidente dei social media”, Barack Obama, usando gli elenchi degli indirizzi del Partito Democratico e avvalendosi della consulenza di big data all’avanguardia di BlueLabs, col supporto di Google e DreamWorks. Ma a giugno 2016 Trump ha assunto Cambridge Analytica.

Fino al 2016 le campagne elettorali sono state organizzate sulla base di concetti demografici, cioè sull’idea assai approssimativa che tutte le donne debbano ricevere lo stesso messaggio a causa del loro genere o di tutti gli afro-americani a causa della loro razza. Cambridge Analytica ha utilizzato una combinazione di tre elementi: la scienza comportamentale basata sul modello OCEAN, l’analisi dei Big Data e il targeting degli annunci.

Cambridge Analytica acquista dati personali da una serie di fonti diverse, come registri immobiliari, dati automobilistici, dati di acquisto, carte bonus, tessere di club, riviste che leggi, chiese che frequenti. Quasi tutti i dati personali sono in vendita. Ad esempio, se vuoi sapere dove vivono le donne ebree, puoi semplicemente comprare queste informazioni, numeri di telefono inclusi.

Alexander Nix, il CEO di Cambridge Analytica, ha affermato che “Praticamente ogni messaggio che Trump ha pubblicato è stato basato sui dati”. Nel giorno del terzo dibattito presidenziale tra Trump e Clinton, la squadra di Trump ha testato 175.000 diverse varianti di annunci per i suoi argomenti, al fine di trovare le versioni giuste soprattutto tramite Facebook. I messaggi differivano per la maggior parte solo in dettagli microscopici, al fine di indirizzare i destinatari in modo psicologico ottimale: diverse intestazioni, colori, didascalie, con una foto o un video. Poi sono stati inviati come post su facebook con privacy sapientemente impostata in modo da poter essere visti solo dagli utenti con lo specifico profilo per cui erano stati elaborati.

Ma fino a che punto i metodi psicometrici hanno influenzato l’esito delle elezioni? Alla domanda, Cambridge Analytica non è stata disposta a fornire alcuna prova dell’efficacia della sua campagna. Non è escluso che alla domanda sia impossibile rispondere.

Ora la domanda è: Facebook che responsabilità ha in questa faccenda?

Nel 2014 Aleksandr Kogan, mentre collaborava con Michal Kosinski, realizzò un’applicazione che si chiamava “thisisyourdigitallife” (letteralmente “questa è la tua vita digitale”), una app che prometteva di produrre profili psicologici e di previsione del proprio comportamento, basandosi sulle attività online svolte. Per utilizzarla, gli utenti dovevano collegarsi utilizzando il login di Facebook che consente all’applicazione che lo utilizza di ottenere l’accesso a indirizzo email, età, sesso e altre informazioni contenute nel proprio profilo Facebook (l’operazione è comunque trasparente: Facebook mostra sempre una schermata di riepilogo con le informazioni che diventeranno accessibili). Ma chi legge le pagine di informativa sulla privacy? 270 mila persone si iscrissero all’applicazione di Kogan utilizzando Facebook Login e fornirono così l’accesso a moltissime informazioni. Tre anni fa tra queste opzioni invisibili c’era anche quella di consentire l’accesso alla rete di amici, senza che questi ultimi fossero avvisati (ora non è più così).

E poi Kogan ha condiviso tutte queste informazioni raccolte con la sua app, per la quale aveva avuto la famosa spunta sul foglio privacy, anche con Cambridge Analytica, violando i termini d’uso di Facebook. Il social network vieta infatti ai proprietari di app di condividere con società terze i dati che raccolgono sugli utenti. Per i trasgressori sono previste sanzioni come la sospensione degli account, provvedimento che può determinare la fine del tuo intero modello di business, se questo si basa sui dati e le possibilità di accesso all’applicazione che hai costruito tramite il social network. A quanto sembra, nel caso di Cambridge Analytica la sospensione è arrivata molto tardivamente: il 16 marzo 2018, quando si è saputo che il Guardian e il New York Times avrebbero pubblicato le inchieste.

Ora, al di là della specifica questione giuridica di violazione del regolamento privacy, noi ci poniamo domande di ordine filosofico non da poco: la profilazione che società come Cambridge Analytica sono in grado di fare sono eticamente accettabili? Siamo dunque diventati solo l’ennesimo prodotto sul mercato, da indurre all’acquisto dell’ultimo oggetto o a votare per Tizio o per Caio?

In Europa a maggio entrerà definitivamente in vigore il GDPR, cioè il nuovo regolamento sulla protezione dei dati. Esso ha come finalità quella di tutelare i dati personali delle persone fisiche, chiarendo la catena delle responsabilità nel passaggio di informazioni e ribadendo alcuni concetti chiave non da poco, come il principio della trasparenza e del rispetto delle finalità esplicite per le quali sono stati acquisiti i dati.

Certo che se continueremo a mettere spunte disinteressate su informative approssimative, senza nemmeno leggerle, e se compileremo tutti i più assurdi questionari su internet, non potremo poi versare lacrime di coccodrillo.

Una riflessione approfondita andrebbe elaborata da ciascuno sul fatto che i nostri like su facebook dicano di noi più di quanto riusciamo a comunicare al nostro partner: non si capisce se è perché in realtà stiamo trascurando le relazioni vere o se abbiamo così disperatamente bisogno di esprimere noi stessi da seminare le perle dei nostri pensieri in mezzo alla porcilaia del web, sperando che qualcuno passi a raccoglierle per omaggiarci della sua personale attenzione. E invece ogni cosa viene risucchiata dall’idrovora degli algoritmi, per i quali non siamo più persone da ascoltare, ma bancomat da spremere e crocette in cabina elettorale da estorcere.

Una volta c’era il detto: “male non fare, paura non avere”, per indicare che basta non avere niente da nascondere per sentirsi sereni alla luce del sole, anche sotto lo sguardo di tutti. Non so se possiamo continuare a dirlo: infatti il busillis sta nel concetto di male, nel cosa intende in sistema di controllo per “male”. Se Hitler e Stalin avessero avuto a disposizione i profili psicometrici di tutti i cittadini, avrebbero ucciso senza indugio tutti i dissidenti, non si sarebbero sviluppate sacche di resistenza nemmeno culturale, avrebbero manipolato la totalità dell’opinione pubblica. La realtà del grande fratello è già qui, in potenza. Resta da sperare che manchi la volontà di farne un uso pernicioso, a preservazione del potere e a danno dei cittadini.

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23/03/2018
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