Storie
di Mauro Rotellini - Giuseppe Brienza
L’emergenza in Grecia: fra protezione civile e troika
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Abbiamo detto che l’Europa non si è mossa per aiutare i cittadini greci colpiti dal disastro degli incendi? Non è vero. Lo ha fatto. Esiste infatti un’intera sezione dell’Unione europea che si occupa di protezione civile, in applicazione piena (in questo caso) del principio di sussidiarietà. Se uno Stato ha bisogno di aiuto, se non ce la fa a far fronte a un disastro, può chiedere ed ottenere aiuto all’Europa-Istituzione.
Addirittura il sistema europeo di protezione civile trova il suo fondamento nel Trattato di Lisbona che obbliga l’Ue a provvedere all’assistenza ed alla protezione delle vittime dei disastri naturali o provocati dall’uomo (compresi gli atti di terrorismo) ed a supportare e coordinare la protezione civile degli Stati membri. Un segno importante che certe tematiche sono state poste all’attenzione dei politici e dei tecnici di Bruxelles che sono normalmente accusati di essere lontani dai cittadini e sensibili solamente alle lusinghe delle lobbies (accusa che – intendiamoci – è pienamente fondata…). In questo caso, dobbiamo riconoscerlo, questi temi sono stati affrontati e ne è stata tentata una soluzione piuttosto efficace.
In particolare, il sistema di protezione civile europeo è intervenuto in molte aree ed in riferimento a non pochi episodi di crisi in tutto il mondo, così come un sistema istituzionale basato su Stati economicamente sviluppati e potenti sarebbe in effetti chiamato a fare. E, infatti, qualunque Stato nel mondo e perfino le Nazioni Unite ed altre agenzie internazionali possono chiedere la attivazione del sistema-Ue.
Dal 2010 al 2014, l’Unione ha risposto a oltre 80 emergenze in tutto il mondo, dal Giappone alla Siria, oltre che naturalmente nei casi in cui gli incendi boschivi si sono verificati negli Stati del sud Europa (Italia, Portogallo, Grecia etc.). Inoltre, la protezione civile europea ha soccorso le popolazioni in occasione delle inondazioni in Europa centrale e nei Balcani, dell’epidemia di ebola e durante il conflitto in Ucraina.
Per quanto riguarda specificamente la lotta contro gli incendi boschivi, il principio di sussidiarietà impone l’azione europea quando «le proporzioni di un incendio superano le capacità di uno Stato di domarlo». In tali casi, il sistema Ue di protezione civile «può essere attivato per provvedere ad una rapida ed efficace risposta» (cfr. il sito istituzionale dell’Unione europea, http://ec.europa.eu). Nel 2017 tale meccanismo è stato attivato 17 volte per questo motivo, con richieste di assistenza presentate dal Portogallo, dall’Italia, dal Montenegro, dalla Francia e dall’Albania. Il sistema, in tali occorrenze, pare abbia agevolato in maniera soddisfacente la cooperazione negli interventi di soccorso consentendone il coordinamento. L’azione si realizza attraverso l’invio sul territorio colpito di squadre di esperti nella valutazione e nella canalizzazione di risorse e materiali messe a disposizione dai vari Stati membri.
Un’analoga situazione in questi giorni si sta verificando in Svezia, dove è stata rilevata la presenza di almeno 60 diversi incendi che, velivoli dal Portogallo, elicotteri e canadair dalla Germania, Norvegia, Italia e Danimarca stanno cercando di sedare.
Come sempre le situazioni di emergenza fanno dare il meglio (o il peggio…) di sé stessi alle persone che vi sono coinvolte. Il meccanismo europeo di protezione civile è – forse – la parte migliore dell’acquis communautaire. Quando c’è un disastro fa bene l’Europa a non chiudere gli occhi e ad intervenire. Tuttavia non pochi commentatori hanno anche rilevato che le difficoltà economiche e, alla fine, organizzative dello Stato ellenico sono state provocate dalla “cura da cavallo” imposta dalla “troika” economica Fondo monetario internazionale-Banca centrale europea e Unione europea. Cura che ha fatto perdere mezzo milione di posti di lavoro pubblici ad un Paese che conta complessivamente una popolazione di 11 milioni di persone. L’ultimo taglio al ministero della Protezione civile greco, dal quale dipende il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, è arrivato con il quattordicesimo pacchetto di austerità a primavera dell’anno scorso. L’area della sorveglianza antincendio, come ha riportato il Corriere della sera il 18 luglio scorso, ha perso in totale 34 milioni di euro di risorse, precedentemente distribuiti fra fondi per il personale e per i mezzi di soccorso.
Negli ultimi tempi, quindi, gli interventi della protezione civile greca sulle aree a rischio in funzione anti-incendio sono stati inevitabilmente sporadici, insufficienti, non coordinati. Carenza di mezzi, di personale e di piani di evacuazione: i risultati sono stati quelli che, purtroppo, abbiamo visto di recente, con decine di morti, interi quartieri della capitale distrutti e cittadini e turisti spaventati e atterriti. I tragici fatti di Atene, ha commentato giustamente il Corriere, evidenziano «la fragilità di un Paese che arriva prostrato a questo punto di svolta».
Dopo l’allarme lanciato nei giorni scorsi da Caritas Grecia, sulla difficile situazione in cui versa il Paese è intervenuto anche monsignor Sevastianos Rossolatos, arcivescovo di Atene e presidente della Conferenza episcopale ellenica. Il vescovo ha in particolare espresso la sua preoccupazione in vista della prossima uscita della Grecia dal “programma di salvataggio” finora imposto dalla troika, “uscita” fissata per il 20 agosto. Scriviamo tra virgolette perché, come avvertito da mons. Rossolatos, «usciremo dal memorandum ma le restrizioni rimarranno. Nel 2019, e forse anche nel 2020 subiremo altri tagli alle pensioni e aumenti ai contributi assicurativi. Non si parla di diminuzione di tasse e di agevolazioni. La situazione è grave e non vediamo nessuna luce sicura in fondo al tunnel» (cit. in Per la Grecia le sfide cominciano ora, in “L’Osservatore Romano”, 23-24 luglio 2018, p. 7).
Un dovere quindi per l’Europa quello di intervenire in Grecia. Un dovere innanzitutto etico, quello dell’aiuto cioè a persone che hanno incontrato sulla strada della propria vita una tragedia. Ma un dovere anche politico, quello di cercare di porre rimedio concreto ad una situazione non creata dall’Unione, ma che la Ue ha contribuito involontariamente ad aggravare affrontando una situazione di rischio default, ma con sistemi dei quali non c’è consenso unanime ed indiscusso fra gli operatori. Che i conti pubblici dello Stato greco registrino oggi dati più che confortanti non può bilanciare una situazione economico-reale complessiva di perdita del reddito di circa il 30%, di disoccupazione ad oltre il 20% e di debito pubblico in forte e costante aumento (fonte MAE: www.infomercatiesteri.it). La finanza non può quindi (e non deve!) dire l’ultima parola. Maastricht o non Maastricht.