Società
di Emiliano Fumaneri
Miseria dell’identitarismo di destra e di sinistra
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
Non passa giorno senza che qualche cattolico impegnato in una causa per la famiglia e la vita si produca nella consueta tirata contro le “ambizioni personali” (sempre quelle degli altri, mai le proprie) presentando se stesso, naturalmente, nelle vesti di disinteressato servitore della “causa” – per servire la quale magari è il primo a ricevere un salario…
Tanta malcelata ipocrisia discende, a ben vedere, da un formidabile malinteso: la confusione tra amore cristiano e altruismo. Secondo questa falsa immagine, l’amore coincide col farsi “altro” nel senso di un radicale annullamento di sé e di ogni desiderio e bisogno individuali. L’amore, si dice, è gratuità totale. È radicale oblio di sé, supremo disinteresse. È devozione assoluta alla buona causa. Una versione cristiana dell’imperativo morale di Kant.
Nulla di più falso. Solo Dio può amare in maniera così pura. Noi creature invece non facciamo forse anche il nostro “interesse” quando ricerchiamo il vero bene? Allo stesso modo, non basta proclamare “la” Verità. Bisogna anche che diventi la “nostra” suprema verità.
Come amava ricordare il compianto cardinale Giacomo Biffi, in fondo anche il regno dei cieli si può considerare una ricompensa, un guadagno. Tanto è vero che mai come quando parla del regno celeste Gesù manifesta la propria appartenenza alla stirpe di Davide: «Gesù dimostra la «ebraicità» della sua «forma mentis» persino trattando della vita dello spirito e del rapporto con il Creatore vindice di ogni giustizia. Egli non si dimentica mai di prospettare il «guadagno» (sia pure un guadagno ultraterreno) come incitamento al bene agire: «Grande è la vostra ricompensa nei cieli» (cf. Mt 5,2; Lc 6,23). Si preoccupa di informarci che il Dio vivo e vero non è un seguace dell’etica kantiana; e dunque non ritiene che il disinteresse sia la connotazione essenziale e necessaria della bontà morale di un comportamento: «Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (cf. Mt 6,4.6,17)». (G. Biffi, “Gesù di Nazaret centro del cosmo e della storia”, Elledici, 2000, pp. 56-57)
Il grande Gustave Thibon non si è mai stancato di additare questa sottile impostura dell’amore cristiano. Per Thibon molti dei mali del nostro tempo derivano dal divorzio tra l’interesse e il dovere. Se un tempo le famiglie mettevano al mondo i figli lo facevano, certo, perché era un dovere accogliere le creature che Dio aveva mandato. Ma era pure nell’interesse dei genitori avere dei figli che ben presto li avrebbero aiutati nel lavoro quotidiano, alleviandone la durezza. Ciò spiega perché Thibon arrivasse a dire che una società è sana nella misura in cui riesce ad attenuare la tensione tra l’interesse personale e il dovere sociale.
L’individualismo moderno ha spezzato il legame vitale tra dovere e interesse. Tolto il dovere, non ci si cura che dell’interesse individuale senza considerazione alcuna per i legami (incluso il primo di tutti i legami, quello religioso), per la solidarietà, per la fraternità. Viene meno così l’amicizia civile, quel sentimento che per i filosofi personalisti tiene assieme la società.
Anche l’amore moderno per le “identità” chiuse e autoreferenziali, comune tanto alla sinistra quanto alla destra, discende da questa assolutizzazione dell’interesse individuale.
Mark Lilla, giornalista e storico statunitense, nel suo interessantissimo “L’identità non è di sinistra” caratterizza bene questi due identitarismi rivali: un identitarismo di destra e uno di sinistra. Per i due campi rivali la nozione di “identità” deve prevalere su tutto. La destra identitaria vuole restaurare l’unità nazionale-religiosa-razziale di un tempo escludendo chi non corrisponde a questo modello. La sinistra identitaria, per conto suo, sostituisce l’idea di unità con la diversità e l’idea di nazione con quella di affinità elettiva (secondo il modello di Facebook, dove ci si lega agli altri con connessioni che possiamo formare e spezzare con un semplice click). La destra difende il monoculturalismo, immagina una società omogenea e autonoma. La sinistra difende il multiculturalismo, immagina una società cosmopolita integrata in un mondo iperconnesso. La destra difende una identità rigida, armata, chiusa a ogni cambiamento. La sinistra difende una identità fluida, indeterminata, aperta a ogni cambiamento. Tanto la separazione, a destra, quanto la confusione, a sinistra, non portano che allo stesso risultato: la rottura del legame vitale tra dovere e interesse, sul quale poggia ogni comunità umana.
Sia la destra che la sinistra identitarie oppongono l’“io” al “noi”. Sono individualiste, disprezzano il bene comune, esasperano i conflitti sociali. Entrambe delegittimano la cittadinanza, il legame fondamentale di una società politica giacché unisce tra di loro gli esseri umani, al di là delle loro caratteristiche individuale, assegnando diritti e doveri reciproci.
È di immediata comprensione che la società si frantuma là dove esistono solo interessi individuali e non, anche, doveri comuni. Divise su tutto in superficie, sinistra e destra dell’identità sono accomunate in profondità dalla stessa matrice individualista.
Per questo la politica dell’identità, di sinistra o di destra, è profondamente antipolitica. Gli identitarismi di destra cercano l’unità interna indicando un nemico esterno. E lo stesso fanno gli identitarismi di sinistra quando eleggono a capro espiatorio gli “omofobi” e i “retrogradi”. Anche la sinistra, a dispetto del suo odio (solo teorico) per le recinzioni e i confini, alza muri e non dialoga con chi non è considerato degno di essere ammesso nel suo circolo identitario. Così il dialogo è sostituito dai tabù e dai codici arcaici di una religione tribale. A destra come a sinistra, il risultato è sempre il conflitto: la lotta tra le classi, le etnie, le religioni, le nazioni, gli stati, i partiti, le associazioni…
E i cristiani? Qui vengono le note dolenti. Al divorzio tra dovere e interesse i cristiani reagiscono talora come non dovrebbero, con un errore uguale e contrario. Invece di restaurare il legame tra dovere e interesse, enfatizzano il dovere e demonizzano l’interesse. Lo sbocco naturale di una tale mutilazione è l’ipocrisia, coi “bravi cristiani” impegnati a denunciare gli “interessi” del prossimo (sempre oscuri e indicibili) mentre coprono i propri sotto il manto virtuoso della “buona battaglia”.
Nella versione secolarizzata invece si sostituscono i doveri verso Dio coi doveri verso lo Stato, l’Umanità, Gaia… Peggio ancora, se possibile, accade quando si assolutizza invece l’interesse a scapito del dovere scimmiottando gli identitari di sinistra o di destra. Abbiamo così i difensori dell’“interesse cristiano”, gli apostoli dell’“identità cristiana”.
Ma anche in questo caso si tratta di declinazioni dell’identità che si mostrano con volti differenti, come ricalcando i tratti degli opposti identitarismi di destra e di sinistra.
L’identitario cristiano di sinistra sposa la mistica del nascondimento. È, la sua, una identità in dissolvenza, infintamente adattabile, evanescente. Un cattolicesimo decaffeinato, per dirla con Fabio Torriero.
L’identitario cristiano di destra sposa invece la mistica dell’ostentazione. Sentendosi continuamente in dovere di esibire i contrassegni della sua identità diventa invasivo, aggressivo, rigido. Un cattolicesimo ristretto, ultraconcentrato.
L’identitario cristiano di sinistra vuole la misericordia, ma non la giustizia. L’identitario cristiano di destra vuole la giustizia, ma non la misericordia.
Quando i vignettisti di Charlie Hebdo furono trucidati da un commando jihadista alcuni cattolici identitari giubilarono. La tribù coranica, gente che non scherza, aveva fatto il lavoro sporco eliminando i nemici della tribù cristiana (ricordo bene che sui social ci fu chi arrivò a definirli “animali” e “escrementi”). A nulla valse spiegare che la pietà per i morti e la solidarietà con le vittime non equivale ad aderire alle loro cause, né significa sposare le loro azioni e i loro pensieri (nel caso di Charlie Hebdo, la satira dai contenuti anticristiani). Come se a un cristiano non fosse concesso di essere solidale con l’umanità oltraggiata degli uccisi, fosse anche quella dei suoi nemici (che il Vangelo comanda di amare). Come se un non cristiano, o perfino un nemico della fede cristiana, fosse stato privato della natura umana.
Forse mai come in quella circostanza mi apparve immediatamente chiara la natura maligna dell’identitarismo. A sinistra la putrefazione, a destra la rigidità. Sono due virtù da cadaveri.
Gli identitarismi cristiani di destra o di sinistra sono dei naturalismi. Ne è prova la loro natura “mimetica”. Si limitano a battezzare questa o quell’altra “politica dell’identità”. Non è un caso che la crisi del cattolicesimo politico coincida con l’ascesa degli identitarismi cristiani. L’identitario cristiano di sinistra ricorda di essere pro Life solo quando si parla di pena di morte o del commercio delle armi. L’identitario cristiano di destra ricorda di essere pro Life solo quando si parla di aborto e eutanasia. Una vera politica da cristiani, al contrario, diffida dei dualismi. Semplicemente è sempre pro Life, che si parli di aborto, eutanasia, pena di morte o di commercio delle armi.
Come assemblare una proposta politica comune quando ci si dibatte nella limacciosa guerra dei dualismi? Gli identitari cristiani, tanto per cambiare, non fanno altro che combattere una logorante guerra civile che danneggia sia la Chiesa che la società…
La vera identità cristiana non è una pallida imitazione. È altra cosa, è un modello originale. Nasce dall’incontro con la persona viva di Gesù. Non è in concorrenza con le nostre identità particolari, con le nostre identità nazionali, regionali, comunitarie, professionali, famigliari… È la radice che fornisce loro una linfa nuova.