Politica
di Roberto Frecentese
La terza via sulla quale deve puntare il popolarismo sturziano dopo le Europee
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Quando si perdono le elezioni la prima conseguenza è la dimissione dei dirigenti locali. Un gesto necessario e, direi, dovuto per fare chiarezza e consentire di aprire un dibattito puntuale e libero da condizionamenti.
Il dato nazionale pone in discussione tutte, o quasi, le realtà locali. Occorrerebbe una dimissione in massa di dirigenti, cosa che ovviamente è impensabile. C’è molto di più dell’incapacità, vera o presunta, dei dirigenti locali. Dal mio punto di vista hanno fatto il possibile e talvolta l’impossibile. Il nocciolo non è qui.
A livello nazionale e regionale ci sarà da discutere e approfondire. Non ci sono dubbi al riguardo.
Vorrei provare ad analizzare il dato locale, provinciale e cercare di capire cosa non ha funzionato, tenendo conto che le dinamiche nazionali sono talmente strette con quelle locali che è davvero arduo isolarle.
Vorrei sottolineare che il mancato consenso va letto anche in chiave di chi vuole suggerire qualcosa, che è nascosto dietro un apparente rifiuto di consegnarci il consenso. Non cadiamo nella retorica pietistica del considerare chi non ci ha votati come “nemici” o “traditori”. Alcuni senza dubbio lo sono stati nel cuore e nell’anima e hanno sviluppato persino violente campagne diffamatorie nei nostri confronti. Questi ultimi probabilmente andavano fermati con risolutezza senza cincischiare in vuote e sterili polemiche e continui, prolissi dibattiti che ci ponevano in pessima luce, cosa che, provocatoriamente, desideravano. Teniamo conto della potente macchina mediatica che avevano a disposizione, essendo alcuni che maneggiano le tastiere a libro paga di ben individuate strutture di consenso sulle piattaforme dei social. L’ingenuità di alcuni nostri aderenti ci porta e ha portato a pensare che fossero individui isolati. In realtà sono espressione di una collaudata macchina costruita con fondi consistenti e attenta a cogliere qualsiasi difformità dal pensiero e strategie stabiliti. Come altrimenti spiegare la puntualità con cui certi soggetti intervenivano ad ogni tentativo di esprimere il nostro pensiero? Occorre valutare questo fenomeno con attenzione senza liquidarlo con ironia o peggio con superficialità. Molto del giuoco si esprime attraverso l’abilità mediatica. Dovremmo averlo capito.
Torno, però, ai problemi più politici e di metodo.
1. Il PdF non ha dato un’immagine rassicurante.
In un tempo in cui si vota per pancia e per paure chi riempie le pance e allenta le paure ha avuto la meglio, cosicché tutto si doveva fare tranne che trasmettere insicurezza. Va da sé che in questo scorcio di storia abbiamo a che fare con l’insicurezza per il futuro, il lavoro sempre più precario, le personalità liquide (oltre alla società liquida), la fuga dalle responsabilità sentite come gravose e “obbligate”, l’indeterminatezza del proprio ruolo e delle proprie funzioni. Un clima tutt’altro che congeniale per chi propone un obiettivo a lunga scadenza e la “mission impossible” di una società valoriale. Ci siamo accorti per strada qual è il clima, quali sono i modelli di pensiero ed esistenziali che imperano dappertutto. La lettura ci impone una severa riflessione su come ci siamo “incontrati” con le persone. Ho assistito ad atti di vera sfida nei confronti degli altri, gli elettori. Ho visto interminabili discussioni prive di qualsiasi frutto se non in grado di confermare nell’altro la validità del suo pensiero: diatribe sterili ed estenuanti. Ho avuto modo di guardare ad atteggiamenti di imperio che mal si conciliano con il nostro essere cristiani portatori del messaggio della comprensione, il che ci rendeva in palese contraddizione con quanto affermavamo.
Non è un atto di accusa personale, per carità. Tuttavia queste modalità ci dovrebbero far riflettere. In questo è necessario crescere e anche rapidamente. Nel nostro contesto possiamo dare molto, a patto che riusciamo a compiere un salto di qualità e di immagine. L’immagine non del singolo ma dell’intero PdF della Bergamasca. Ognuno accolga se stesso con i pregi e difetti inevitabili, ma per il bene più alto cerchi di smussare angoli e inclinazioni e instauri un rapporto di maggiore cordialità.
Il primo obiettivo è proprio di metodo nel confronto con gli altri potenziali elettori e simpatizzanti. I contenuti, i più validi vengono offuscati dal non porre i valori con metodi efficaci. I potenziali elettori non facciamoli fuggire. La gente si aspetta parole di comprensione per le difficili situazioni che stanno vivendo non barili di aceto svuotati in modo inclemente. La gente soffre nell’animo e talvolta nella carne: diamo loro l’immagine di un PdF attento e pronto all’empatia.
Se Lega e 5 Stelle hanno vinto è perché hanno puntato su paure e pancia. Proposte per la pancia hanno dato consensi. Tuttavia nel momento in cui deludi la pancia dopo le promesse poi paghi le conseguenze. È il caso del reddito di cittadinanza dei 5 Stelle e del loro flop. Diverso è il caso di chi ha puntato sulle paure e ha mostrato toni rassicuranti, parlando all’inconscio e mostrando decisione e placando le paure. La gente sempre più in ansia ha bisogno di chi gli parli e gli dia sicurezze sulla propria vita, la tutela della propria esistenza fisica; di chi sappia scaricare sui nemici la rabbia che ha repressa per le ingiustizie che vive. Sono meccanismi ben studiati e la Lega con la sua piattaforma “La Bestia” ha realizzato tutto ciò. Nulla è stato affidato al caso. Non per nulla ha vinto. Il rosario sventolato e il bacio sul Vangelo è stato studiato e ripetuto quando i like sono aumentati vertiginosamente. Il capo, il leader fa questo. La gente si identifica con lui: è il rassicurante che fa quello che la gente si aspetta che faccia.
Le paure sono profonde, sotterranee, perduranti e più facili da orientare socialmente. Chi le cavalca, oggi, vince. Non è un caso che Lega e Fratelli d’Italia (che si richiama al fascismo mascherato) stiano avendo consensi a iosa. Rispetto alla pancia, il cui elettore può con maggiore rapidità cambiare umore, chi ha paura si identifica con chi attenua le paure e lo sostiene con maggiore convinzione e il legame è più duraturo. Non si pensi a tempi brevissimi nel cambio di atteggiamento positivo nei confronti della Lega. Il leader viene adorato per quanta sicurezza trasmette. Tra ideali e placare le ansie e paure l’elettore, stiamone certi, il più delle volte opta per la seconda opportunità.
Ecco, questa riflessione dovrebbe farci capire quanto sia urgente il cambio di passo da parte del PdF sul tema del rapporto con i potenziali elettori.
2. La questione di identità politica.
Nel dibattito culturale e, in seguito, politico si pose il problema del Cristianesimo che dovesse essere equidistante e, pertanto, non confondibile o non assimilabile ai due sistemi ideologici comunista e liberale, alla ricerca di una terza via alternativa che avesse nel proprio cuore i valori e l’esperienza cristiani. Per un po’ di tempo l’ipotesi di una terza via alimentò speranze che vennero, tuttavia, raffreddate progressivamente dall’insipienza del laicato cattolico, dalla diffidenza e staticità politica organizzata della Democrazia cristiana, dai vescovi illusi di poter continuare ad appoggiare di volta in volta i soggetti partitici che avessero maggiore consenso sociale.
La terza via venne accantonata, poiché si riteneva troppo ardua da seguire, cosicché il centro si alleò ora con le sirene post comuniste ora con quelle liberal, barcamenandosi, convinto com’era che il sistema fosse infinito nel suo perpetuarsi. La società è cambiata radicalmente (e radicalmente anche come atteggiamento culturale). I cristiani in politica nel sistema bipolare si sono divisi così come erano le anime della Democrazia cristiana, posta in soffitta con il suo scioglimento. Cristiani divisi e cristiani disseminati hanno constatato il proprio fallimento anzitutto culturale e, di conseguenza, politico. Non vi è difatti azione politica che non sia prima culturale; e l’azione politica diventa culturale: si pensi alle norme emanate che creano costume sociale.
Oggi c’è un bivio che si para davanti, il bivio che ci pone davanti due strade: continuare in questo modo o riscrivere la nostra identità di cristiani in politica. Si badi bene: non è una questione di metodo, o non lo è soltanto. In larga misura è domandarsi quale modello di mondo abbiamo in mente e come la politica, cioè la traduzione in progettualità e metodi di lavoro, può e, magari, deve tradurre quel modello di mondo.
La prima domanda è: può questo mondo rinunciare all’apporto dei cristiani? Nessuno, apparentemente, è indispensabile. Tutti siamo utili e nessuno è indispensabile. Eppure il cristiano è indispensabile, e lo è per tanti motivi. Quando i cristiani hanno avuto il governo delle istituzioni o vi hanno collaborato hanno consegnato un mondo migliore, più vivibile. La cultura ha tratto giovamento dal pensiero cristiano. La riflessione filosofica sul mondo e sulla persona ha aperto orizzonti vasti e persino chi oggi perseguita i cristiani lo deve, paradossalmente, alle aperture del Cristianesimo, alla tensione ideale dei cristiani che con spirito di tolleranza e accoglienza hanno condiviso le diversità di vedute e civiltà. La presenza dei cristiani è stato motivo di moderazione, di ricchezza di idee, di versatilità di contributi, ha posto l’uomo verso un progresso e un benessere mai sperimentato prima. Si potrebbe dire che anche gli errori siano stati abbondantemente compensati e superati dai frutti che il Cristianesimo ha contribuito a far raccogliere ai singoli e alle comunità. In tutti i campi del sapere, della cultura, della tecnica, del saper fare il contributo dei cristiani è stato, spesso, determinante. Non entro nel merito delle varie esperienze e problematiche, ma chi ha profonda onestà intellettuale e ha dimestichezza con la ricerca storica non può che assentire: il cristiano è stato decisivo nel far compiere un salto di qualità alla nostra esperienza umana.
Il secondo quesito pone la questione se oggi sia ancora “utile”, vantaggioso l’apporto dei cristiani e in cosa potrebbe ritenersi utile. Qui entrano in campo le qualità dell’essere cristiano.
Il cattolico per definizione è universale. Ecco egli è colui che sa leggere le situazioni e i problemi in un’ottica decisamente non limitata né particolaristica. È vero alcuni problemi sono circoscritti ma l’abitus universalistico lo pone nella condizione di saper guardare oltre, di cogliere le interconnessioni tra le istanze. Coniugare particolare e universale, semplice e complesso è, da sempre, una caratteristica del pensiero cristiano. Non scendo nei dettagli ma la tradizione filosofica di s. Tommaso d’Aquino, Nicolò Cusano, Jacques Maritain, tanto per citare alcuni modelli, ce lo conferma.
Il cattolico ha sempre con sé il dono della tolleranza e della delicatezza nei confronti della persona (pur nella chiarezza e fedeltà assoluta ai valori della sua fede), che si traduce nel risparmiare le accuse nei confronti delle persone, ma, nel contempo, mostrando intransigenza verso le idee. Chi sono io per giudicare la persona? Tuttavia sono chiamato a dare un giudizio severo e puntuale sulle idee. Sempre. Se non lo facessi verrei meno al dovere etico di dire la Verità così come ci è stata tramandata e insegnata. In questo dobbiamo senz’altro operare una riflessione su quanti si siano allontanati perché colpiti nell’intimo della loro persona. Faccio mio le parole di d. Bosco: “Da mihi animas, cetera tolle” “Dammi le persone, tralascia tutto il resto”; un motto che parafrasa un verso del libro della Genesi. Occorre ripartire da questo valore, che oggi è palesemente dimenticato e anzi volutamente obliato.
Il cattolico è colui che esercita l’unione di teoria e prassi, non quella di marxiana memoria. Dio ha sempre “parlato” e realizzato. Non c’è stata una sola sua Parola che non si sia realizzata. Abbiamo vissuto il periodo delle grandi separazioni, a iniziare dal post Medioevo con i profeti della separazione: Lutero aveva diviso natura e grazia; Cartesio aveva scisso ragione e fede; Rousseau aveva separato natura e ragione. Il cristiano è colui che distingue per unire: questo a livello di produzione di idee ma anche nella vita concreta. Quando divide è per sola comodità di studio e di analisi, ma il suo vero obiettivo e convertire parole in fatti e fatti in parole. La saggezza della ragione ci pone nell’ambito di chi guarda razionalmente gli eventi, li giudica alla luce della fede e interviene per la trasformazione del mondo. Un’attività complessa che si oppone alle semplificazioni dell’oggi che rinuncia e ha rinunciato all’uso della razionalità.
Il cattolico è colui che ha nel suo sangue la capacità di critica, talvolta molto forte, contemperata dalla volontà di associare sempre una proposta. Questo lo distingue dagli altri. Gesù Cristo è il modello esemplare per eccellenza in ciò. Critico, eccome, sulla sua società, sul modo di essere degli individui, sui modelli vissuti, eppure ha avuto la pienezza di indicare se stesso come proposta perché la critica fine a se stessa non salva nessuno, è sterile, infeconda. Nella storia del nostro Paese i cristiani hanno sempre donato proposte, spesso copiate da altri schieramenti; quando hanno rinunciato a essere propositivi e si sono adeguati alla mentalità del mondo e del disimpegno si sono persi, rinunciando persino alla propria identità.
Il cattolico esercita l’arte della democrazia, cioè l’arte del “migliore” possibile, ad oggi, metodo di governo. Ecco che il cristiano è chiamato a svelare l’inganno dell’apparente democrazia odierna, la democrazia di facciata e non di sostanza. La democrazia lasciata al libero giuoco delle opinioni, della manipolazione mediatica, delle tecniche di controllo e di dominio cessa di essere democrazia per avviarsi alla dittatura mascherata con un volto ora verde, ora fucsia, ora rosso, ora bianco, ora nero, ora arcobaleno. Qui il cristiano davvero può fare molto, in particolar modo con il mettere in campo le abilità di mediazione nella politica, la capacità di avviare la visione complessa delle situazioni, il saper agganciare valori e proposte, la forza di educare alla politica e all’arte del governo. Per far questo deve addossarsi la pazienza del contadino, il pensare ai tempi lunghi, il capire che le questioni sono sempre complesse anche le più semplici nel mondo odierno, fatto di intrecci e relazioni che superano l’ambito localistico e personalistico.
Ho citato soltanto alcune delle potenzialità che il cattolico può mettere in campo e per le quali è vantaggioso per il bene di tutti, il bene comune, che egli si dia da fare in modo singolo e/o organizzato, qui e oggi. Non è ancora venuto meno il tempo in cui si può fare a meno del Cristianesimo. Verrà mai meno l’esigenza del Cristianesimo per l’umanità? La risposta secca è no. Per la stessa natura lievitante del Cristianesimo e per la stessa natura bisognosa di altezze dell’uomo è indispensabile che la proposta cristiana sia portata e fatta conoscere, nonostante i ripetuti tentativi di dichiarare la morte di Dio. Di certo abbiamo la data di morte di tutti coloro che hanno preteso di cancellare Dio dalla storia umana. E questo la dice lunga…
3. La terza via, oggi.
È possibile riproporre la terza via, oggi? Consumati i modelli marxisti e liberal, divisi tra sovranisti e populisti, ereditando il periodo del bipolarismo “imperfetto”, non può sfuggire che la polarizzazione tra estremi (estremi almeno in apparenza, talvolta essi coincidono) non fa bene alla nostra società italiana. Diciamo che in genere non fa bene a nessuna società civile.
La radicalizzazione degli scontri ha prodotto frutti nefasti in passato e nel nostro tempo, alimentando scontri sociali, economici, politici. La radicalità delle posizioni ha chiuso la possibilità della comprensione reciproca, spostando la soluzione dei problemi dall’elaborazione da compiere insieme alle mani del leader che tutto gestisce e tutto risolve, svuotando di senso l’impegno del singolo a costruire, venendo chiamati i cittadini soltanto per dare il proprio assenso e “prolungare” le mani del leader.
La radicalità ha spento la fantasia per elaborare soluzioni condivise, armoniche, equilibrate che giovino al maggior numero di persone. Ha portato al riflusso definitivo verso la sfera privata, cancellando a colpi di pseudo diritti libertari e civili quanto di pubblico vi è in ciascun essere umano. Non è il caso di narrare le continue contrapposizioni che in ogni ambito e settore della vita civile ci pervadono nel nostro quotidiano. Sono state create, talvolta in modo artificioso, continue antinomie per spezzare la possibilità di trovare sfumature e poter ragionare in termini di complessità. Tutto viene ridotto a bianco o nero, all’essere con me o contro di me. Ognuno in questa condizione fa perdere la propria identità, identità che consegna a chi ne ha una certa (quasi per paradosso) e smarrisce la bussola in quanto altri (o altro) possiedono il navigatore.
Nel processo di radicalizzazione, rispetto al passato, ci sono più problemi che soluzioni. Il che sta a significare che abbiamo perso in termini di capacità di incontrarci e di saper rinunciare a qualcosa per un bene più alto. Un impoverimento che nasce dalla nuova antropologia, che ha ridotto l’uomo a una solo dimensione (orizzontale, materiale) e in balia delle mode proposte. La “delega” al leader ha completato l’opera di deresponsabilizzazione individuale.
Occorre far presente che in questo contesto di separazione e contrapposizione sociale il Cristianesimo in politica può diventare ideologico, cioè l’esatto contrario per cui è nato, se esso stesso politicamente si radicalizza.
La rinuncia a un cultura di mediazione a favore di tecnicismi occasionali senza alcun ampio respiro ha preso il posto di quel centro moderato tra destra e sinistra, che aveva permesso all’Italia di uscire dalla guerra devastante e sviluppare un modello in cui gli Italiani tutti si sentissero con un’identità precisa e avessero valori comuni. Quando i cristiani hanno isterilito la propria specificità e si sono allontanati quel centro è venuto meno e si è persa la progettualità unitaria e fattiva del Paese.
Ora, tramontate le divisioni in destra e sinistra, appaiono altre categorizzazioni: sovranisti e populisti. La sostanza non cambia. Amano porsi secondo le vecchie logiche di destra e sinistra, pur avendo entrambi gli schieramenti idee della vecchia destra e della vecchia sinistra in comune tanto che sono, nello stesso tempo, di destra e sinistra. I parametri di divisione tra loro sono altri.
Se non vogliamo la perdita della libertà cui spinge consapevolmente o inconsapevolmente ogni forma di radicalità politica, economica, culturale occorre ricostruire un centro equilibratore, che faccia ragionare e condurre a riscoprire i valori ideali più alti.
Tuttavia la terza via non si pone come lembo di attracco tra sovranisti e populisti per i limiti oggettivi e costitutivi di quegli schieramenti. I due raggruppamenti nascono e vivono in modo ideologico la loro sostanza ideale e politica. Sono tanto simili in certi aspetti che si fa fatica a operare vere distinzioni. È tale il comune tessuto connettivo che non hanno bisogno di elementi intermedi di raccordo. Hanno uno stesso codice e quasi una stessa lingua per intendersi.
Per questo motivo mi sembra che lo spazio da occupare non sia il porsi come cuscinetto tra i due mediando tra valori che non appartengono o appartengono poco all’orizzonte cristiano.
Ecco che appare una terza via, sganciata dalle logiche sovraniste e populiste, che, nel lungo periodo, operi in modo autonomo e qualificato riconducendo il quadro politico italiano a maggior complessità e articolazione.
La terza via del Popolarismo cristiano, in virtù della necessità della presenza dei cristiani organizzati in politica e nella cultura, come ho già spiegato, fornirebbe la chiave del superamento dei radicalismi e consentirebbe alla democrazia di uscire dalle secche e dalla tentazione (o realtà, purtroppo) del totalitarismo democratico.
È questo lo spazio che il PdF può occupare? È la scommessa che vale la pena di accettare?