Politica
di Silvio Rossi
Una campagna condotta con passione
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Possiamo affermare che la campagna elettorale del PdF sia stata condotta male? Compatibilmente con le forze e le risorse a cui si poteva attingere, non sembra proprio, anzi. I militanti sono stati in prima linea per strada, sui social, parlando e confrontandosi con chiunque, spendendo energie e tempo, spronandosi l’un l’altro con passione e generosità. Anche molti commentatori esterni hanno dovuto sottolineare l’assoluta e costante dedizione dei piediffini per far conoscere le proposte del Partito. Il Presidente Adinolfi mai come in questa occasione ha avuto degli spazi sui Media. Sempre spazi ridicoli, in barba alla par condicio, però ha avuto modo di parlare e dire la sua più volte. Per chi è abituato alle catacombe anche questa piccola esposizione ha rappresentato tanto. Il programma presentato dal Popolo della Famiglia, incardinato intorno alla Proposta di Iniziativa Popolare per il Reddito di Maternità era e resta valido, tant’è vero che altri partiti a corto di idee ne hanno attinto a piene mani. Insomma, cos’è andato storto se il programma c’era, il Frontman anche, i militanti pure e si è dato fondo ad ogni energia sotto il coordinamento attento di Nicola Di Matteo?
È un po’ come quando un’azienda crea e promuove un prodotto innovativo e valido, sicuramente efficace, con un ottimo rapporto qualità/prezzo, ne cura la promozione, la distribuzione. Ma alla prova dei fatti nei negozi le vendite non vanno come dovevano andare, molta gente tira dritto e acquista altri prodotti. L’azienda stupita si interroga sulle ragioni dell’esito poco soddisfacente e gli esperti di marketing chiamati a consulto dicono che il problema è di “target”, di “posizionamento”. In altre parole, la massa dei possibili acquirenti non è stata ben studiata e segmentata, cioè divisa in gruppi omogenei tra i quali scegliere a chi e come parlare, e il prodotto non è stato collocato correttamente nella percezione del possibile acquirente.
Fuor di metafora, per quanto riguarda i risultati elettorali del Popolo della Famiglia ci troviamo di fronte a dei grossi equivoci che vanno dipanati. Ultimo a partecipare alle attività del PdF, mi permetto però di condividere qualche riflessione che spero sia di qualche utilità.
Il primo equivoco, come più volte ha sottolineato il Prof. Torriero nei suoi incontri formativi, potrebbe risiedere nella percezione degli stessi appartenenti al PdF, di quello che realmente è il Pdf. Sembra di cogliere in molti una difficoltà a separare l’appartenenza politica dall’appartenenza cattolica. Si vive l’essere nel Partito esattamente come l’essere nel proprio gruppo ecclesiale. Un partito politico, per quanto cristianamente ispirato, non è la succursale della parrocchia o di un movimento religioso, occorre separare i piani, a cominciare dal linguaggio, dalla modalità di stare insieme, dalla formazione.
Questo primo equivoco è strettamente legato al secondo, cioè il ritenere che i valori proposti dal PdF, i principi non negoziabili, il rispetto della vita, la difesa della famiglia naturale, siano solo valori cristiani che interessano solo i cristiani. Occorre sempre ricordarci che non si è cristiani perché si è rinunciato alla ragione, ma proprio perché, utilizzando pienamente la ragione se ne scoprono i limiti e la necessità di illuminare i suoi dati con i dati della rivelazione, che non sostituiscono la ragione, ma la completano e la perfezionano. Detto in altri termini, non difendiamo la famiglia naturale perché siamo cristiani, ma perché la famiglia naturale è una realtà intrinseca all’essere umano, perché è socialmente insostituibile, perché un fattore economico di crescita, perché rende le persone psicologicamente libere e sane. I cristiani poi aggiungono che Dio stesso è famiglia, che la Chiesa è famiglia e che il Sacramento del matrimonio trasfigura l’unione umana rendendo la semplice convivenza una “Piccola Chiesa domestica”. Ma oltre e prima di questi aspetti, la difesa e la protezione della famiglia naturale, anche per un laico, per un non credente, dovrebbe essere una priorità. E se per molti non è vuol dire che abbiamo comunicato male.
Allo stesso modo il rispetto della vita in ogni fase dell’esistenza, dalla nascita alla morte naturale, non è una concezione che appartiene per fede e per diritto ai cristiani. I cristiani sono quelli che hanno mostrato al mondo la dignità dell’essere umano con i fatti e con l’esempio, dando istruzione, accoglienza, vicinanza, sollievo a chiunque, senza distinzione alcuna (altro che “Dichiarazione universale dei diritti umani” arrivata con venti secoli in ritardo e infarcita di egualitarismo massonico). Però resta il fatto che la sacralità e l’intangibilità della vita sono frutto di un pensiero rettamente inteso, di una elaborazione razionale che appartiene a tutti, non solo ai credenti. Lì dove si è usata la ragione, Grecia e Roma, lì si è preparato il terreno per il Diritto, per la tutela di ogni cittadino, e quindi ci si è resi disponibili per il perfezionamento portato dal cristianesimo, della consapevolezza che ogni uomo, ebreo o pagano, fosse comunque creato da Dio, salvato da Cristo e in quanto tale prezioso e intangibile. L’aberrazione di chi si arroga il potere dispotico di decidere quale vita è degna di vivere e quel no, non è una bestemmia solo per i cristiani, ma è il segno di una deriva dittatoriale neonazista che dovrebbe far inorridire qualsiasi persona, anche non credente.
Il terzo equivoco riguarda la pretesa che se ciò che diciamo è vero allora dobbiamo necessariamente ottenere consenso. Certamente ciò che è giusto è giusto per tutti, ciò che è sbagliato lo è per tutti. Però questo deve essere frutto di convincimento della ragione, prima dell’accoglienza religiosa. Parliamoci chiaro: un musulmano degli Emirati sostiene che è lecito ammazzare o torturare uno che rifiuta la fede islamica non in base a dati razionali. L’Islam, o almeno una parte consistente di esso, come ricordava Benedetto XVI, insegna e impone se stessa con la forza della pretesa religiosa, non con un’elaborazione basata su un pensiero articolato. Così per tutte le altre religioni. Solo il cristianesimo afferma la propria dottrina e il giudizio morale nella piena sintonia e concordanza di fede e ragione. Si crede ciò che è ragionevole, si ragiona su ciò che si crede. Questo tradotto in politica deve essere però declinato in maniera opportuna. Il PdF, come partito laico, pur cristianamente ispirato deve sottolineare maggiormente la propria laicità, non per allontanarsi dai valori cristiani, ma per presentarli con categorie razionali, economiche, di opportunità. Anche qui, schiettezza: oggi uno non ti vota se oltre ai grandi principi non trova anche grande utilità per sé. I cinque stelle, sono caduti perché hanno promesso e alla prova dei fatti non hanno mantenuto. La Lega ha vinto perché la gente, esasperata da molti zingari che imbrattano le città o rubacchiano, da nigeriani che spacciano, uccidono, da bande italiane che imperversano nelle periferie, ha dato fiducia a chi si è proposto come lo sceriffo deciso a fare piazza pulita. E qualche risultato sull’immigrazione clandestina, bisogna ammettere che si è visto. Noi sappiamo che a questa immagine di uomo forte corrisponde un politico furbo che mentre dice di lavorare per dare l’Italia agli italiani non fa nulla affinché gli italiani possano ripopolare il loro paese. E mentre afferma di volere più severità fa contenti i produttori di armi che di “severità” si nutrono.
Rispetto a tutto questo il PdF non può identificarsi solo come il Partito delle questioni di principio (e siamo i primi a sostenere che i principi del PdF sono gli stessi principi non negoziabili su cui non nutriamo alcun dubbio), ma derivare dai quei principi delle conseguenze che siano appetibili e concrete da essere apprezzate anche da chi non mangia principi, ma pane e pure companatico.
Infine il quarto equivoco, il più grave. Bisogna “riposizionare” come direbbe l’esperto di marketing, l’immagine del Popolo della Famiglia nel campo dei non credenti, proprio facendo forza sul fatto che la sua proposta politica è razionale e interessa ogni persona a prescindere dal suo credo. Impietosamente e con dolore occorre prendere atto che le maggior parte delle parrocchie e degli istituti religiosi oggi non rappresentano più luoghi integralmente cristiani. All’interno di essi osserviamo esserci un livello che ha superato l’incoerenza tra creduto e agito, ma è diventato patologicamente una schizofrenia spirituale, cioè una scissione drammatica all’interno stesso del credente per la quale si fa la Comunione mentre contemporaneamente si vive un sistema di valori totalmente contrari al Vangelo di Colui che l’Eucarestia ha istituito. Nella campagna elettorale abbiamo sentito monache dichiarare di votare il PD (pro aborto, pro eutanasia, pro…) o catechisti e preti esprimersi per la Lega (pro aborto, pro eutanasia, pro…), credenti dichiarare senza imbarazzo o senso del ridicolo di votare per i 5 stelle. Senza porsi il problema di non poter conciliare il dirsi cristiani e il sostenere schieramenti che lavorano esattamente contro quei valori che sono propri del cristiano. Un cristianesimo senza Cristo, ridotto cioè a scatola vuota, conventicola di benpensanti secondo il politicamente corretto e il mondanamente accettato, ma tutt’altro che cristiani secondo il Vangelo. Oggi chi agisce e pensa coerentemente viene visto come anomalia all’interno della stessa Chiesa. La quale, come controprova, si allea in base a criteri di convenienza, non di affinità ideale. Da questa constatazione incontrovertibile di una maggioranza clericale gravemente irreligiosa, ne devono scaturire delle conseguenze. Alcune personali, altre politiche.
Le conseguenze personali sono ben rappresentate dalle parole illuminate di Benedetto XVI nell’ultima lettera pubblicata l’11 aprile di quest’anno sullo scandalo della pedofilia nella Chiesa. Ratzinger dice: “Sì, il peccato e il male nella Chiesa ci sono. Ma anche oggi c’è pure la Chiesa santa che è indistruttibile. Anche oggi ci sono molti uomini che umilmente credono, soffrono e amano e nei quali si mostra a noi il vero Dio, il Dio che ama. Anche oggi Dio ha i suoi testimoni (“martyres”) nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli…”, aggiungendo: “...Se con cuore vigile ci guardiamo intorno e siamo in ascolto, ovunque, fra le persone semplici ma anche nelle alte gerarchie della Chiesa, possiamo trovare testimoni che con la loro vita e la loro sofferenza si impegnano per Dio. È pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro. Fra i compiti grandi e fondamentali del nostro annuncio c’è, nel limite delle nostre possibilità, il creare spazi di vita per la fede, e soprattutto il trovarli e il riconoscerli”.
Da un punto di vista politico però le conseguenze sono anche altre: parlare a tutti, non solo ai credenti da cui abbiamo avuto grandi delusioni e tante altre ne avremo finché non si provvederà ad un’opera tremenda di rievangelizzazione (a casa nostra prima ancora che in missione), dare ai principi intangibili una valenza pratica e concreta, far capire che solo promulgando leggi buone ispirate alla tutela della vita, al sostegno alla famiglia naturale ne deriveranno conseguenze positive per tutti. Dire chiaramente che la battaglia contro la distruzione familiare e l’aborto non è roba da baciapile un po’ sfigati, ma è la strada maestra per recuperare il senso della dignità dell’essere umano, reso proprio dalla mentalità dello scarto un prodotto da usare e gettare al bisogno. Mentalità di cui ognuno di noi prima o poi potrà essere vittima.
Il lavoro politico dovrà essere un lavoro capillare, fatto prima di studio personale e poi di contatto individuale; bisognerà stare sul territorio: non da catechisti, ma da animatori sociali, ricordando sempre che non si costruisce il cristiano se prima non si costruisce l’uomo, non c’è l’uomo se prima non c’è una famiglia.