Storie
di Giuseppe Udinov
USA: vogliono clonare un mammut!
Abbonati agli albi cartacei de La Croce e all’archivio storico del quotidiano
Della serie le bizzarrie sono senza fine ecco giungere dagli stati uniti l’intenzione di clonare addirittura un mammut, L’idea lanciata dalla società Colossal del genetista George Church e dell’imprenditore Ben Lamm è stata così tantlo apprezzata che i due hanno annunciato di aver raccolto 15 milioni di dollari per tentare di riportare in vita i mammut, elefanti dal manto lanoso e le zanne ricurve estinti da più di 4mila anni.
L’obiettivo del team guidato da Church è quello di “avere i primi piccoli nei prossimi quattro o sei anni”. Il ritrovamento di tracce di Dna nel permafrost - il terreno perennemente congelato che si sta sciogliendo a causa del riscaldamento globale - permetterebbe agli scienziati di sequenziare e riprodurre in vitro il codice genetico dell’animale estinto.
Il fantasioso progetto prevede di creare un embrione ibridando il mammut con l’elefante asiatico. Quest’ultimo sarebbe poi fecondato e porterebbe a termine la gestazione come una normale gravidanza.
“Il nostro scopo è creare un elefante resistente al freddo”, ha proseguito Church, “che assomigli e si comporti come un mammut, che sia in grado di abbattere alberi e vivere a 40 gradi sotto lo zero”. Il suo team ha analizzato i genomi di 23 specie e stimano di programmare contemporaneamente “più di 50 modifiche al codice genetico dell’elefante asiatico” per aggiungere le caratteristiche necessarie a farlo sopravvivere nell’Artico. Caratteristiche, spiega il genetista, come uno strato di grasso isolante di 10 centimetri o orecchie più piccole che aiuteranno l’ibrido a sopportare meglio il freddo.
I mammut popolavano l’Europa, l’Asia, l’Africa e il Nord America durante l’ultima Era Glaciale, ma sono completamente scomparsi circa 4 mila anni fa probabilmente a causa di una combinazione di cambiamento climatico e della caccia a cui li sottoponevano gli uomini. I resti di un mammut perfettamente conservato dal gelo, ritrovato in Siberia nel 2015, hanno dato un contributo cruciale agli studi dell’università di Harvard.