Società
di Roberto Signori
KAZAKHSTAN - Abolita la pena di morte
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“Nel dicembre 2021 si è verificato un evento importante nella storia del nostro Stato: il Kazakistan ha finalmente abolito la pena di morte. Questa notizia è passata ingiustamente inosservata a causa delle rivolte di gennaio. Tuttavia, ora che nel Paese sono tornati la pace e l’ordine, vorremmo riflettere insieme sul significato di questo avvenimento. Il rifiuto della violenza in tutte le sue forme, il riconoscimento dell’illegalità delle torture e l’abolizione della pena di morte nel diritto penale sono il risultato del progresso del pensiero etico nel processo di sviluppo storico e culturale della società”. E’ quanto si legge in una nota inviata dalla Commissione per le Comunicazioni Sociali della Chiesa cattolica in Kazakistan.
La legge “Sugli emendamenti e le aggiunte ad alcuni atti legislativi della Repubblica del Kazakistan sull’abolizione della pena di morte” è stata firmata dal presidente Kassym-Jomart Tokayev il 29 dicembre 2021: il provvedimento ha abolito ufficialmente la pena capitale e ha riconosciuto l’ergastolo come massimo livello di pena nella repubblica.
Il Kazakistan è arrivato a questo risultato dopo un lungo cammino. La pena di morte, infatti, è stata applicata per i primi 13 anni della storia del Kazakistan indipendente: l’ultima condanna a morte è stata eseguita nel 2003 quando furono fucilati 12 detenuti. Nel 2004 è entrata in vigore una moratoria a tempo indeterminato sull’esecuzione delle condanne a morte, firmata dal primo Presidente, Nursultan Nazarbayev. In totale, dal 1990, in Kazakistan sono state eseguite 536 condanne a morte.
“La violenza - si legge nella nota della Commissione - non può fermare la violenza, la pena di morte è omicidio e uno Stato che consente la pena di morte legittima l’omicidio. Inoltre, non esiste una correlazione provata tra l’uso di questo strumento penale e una riduzione del livello di criminalità. Il costo di un eventuale errore giudiziario, poi, è troppo alto: persone innocenti possono essere portate alla morte per errore. Infine, le misure penali-giuridiche commesse non dovrebbero mirare alla distruzione del criminale, ma alla repressione del reato: imponendo una condanna a morte, attribuiamo permanentemente al condannato lo stigma di criminale, mentre, con il carcere, puniamo il crimine, neutralizziamo la minaccia per la società e diamo al condannato una possibilità di rieducazione”.