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di Roberto Signori

Legge sulla blasfemia in Pakistan

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L’abuso delle leggi contro la blasfemia è ostinato e costante in Pakistan. Un recente rapporto pubblicato dal Centro per la giustizia sociale ha raccolto i dati sulle accuse di blasfemia da quando è entrata in vigore nel 1987 la modifica che impone anche la pena di morte, proponendo un focus sull’anno appena trascorso.

Nei primi quattro anni dall’entrata in vigore della normativa, introdotta durante il regime militare del generale Zia ul-Huq, non si sono registrati più di 18 casi in un anno. Le cose sono cambiate nei decenni successivi: i casi di accuse di blasfemia sono aumentati in maniera progressiva, fino ad arrivare a un massimo di 208 nel 2020 (v. infografica). Dal 2001 al 2010 ci sono stati 708 casi in tutto, saliti a 767 nell’ultimo decennio.

La maggior parte delle vittime è di fede musulmana e quasi tutti i casi si registrano nel Punjab. Prendendo come riferimento il 2020, nel 70% dei casi gli accusati sono musulmani sciiti, mentre i sunniti solo il 5%, gli ahmadi il 20%, i cristiani il 3,5%, gli indù l’1% e uno 0,5% di fede non identificata. Il trend si è riconfermato nel 2021, anche se i casi registrati sono stati “solo” 84: si è trattato di 45 musulmani, 25 ahmadi, 7 cristiani e 7 indù (v. infografica). Guardando alla totalità delle accuse dal 1987 al 2021, i musulmani rappresentano quasi la metà delle vittime, con il 47,6%, gli ahmadi il 33%, i cristiani il 14,4% e gli indù il 2,2%.

Percentuali simili riguardano le esecuzioni extragiudiziarie: considerando la totalità delle persone uccise in relazione ad accuse di blasfemia, cioè 84 dal 1987 al 2021, i musulmani sono stati la metà, 42, i cristiani 23, corrispondenti al 27%, gli ahmadi 14 e i rimanenti buddhisti, indù o non identificati.

Il maggior numero di casi, con oltre il 75%, è stato riportato in Punjab, seguito dal 18,4% in Sindh, 2,7% in Khyber Pakhtunkhwa e 1,5% a Islamabad. Anche in questo caso guardando solo al 2021, i dati sono in linea: 68 accuse sono state registrate nel Punjab, 7 nel territorio della capitale Islamabad, 5 nel Khyber Pakhtunkhwa, 3 nel Sindh e 1 nel Kashmir.

Per quanto riguarda le conversioni forzate, invece, il numero è salito ad almeno 78 casi nel 2021, un aumento del 50% rispetto al 2019 e dell’80% rispetto al 2020. Le vittime cristiane sono state 38; 39 invece gli hindù e una donna sikh. Ma il dato più allarmante riguarda l’età: nel 76% dei casi si è trattato di minori.

Sebbene il governo abbia riconosciuto il problema istituendo un Comitato parlamentare per la protezione delle 10 minoranze dalle conversioni forzate, a ottobre dell’anno scorso il Parlamento ha respinto un disegno di legge contro le conversioni forzate. Esistono poche altre leggi per la protezione delle minoranze, alle quali però ci si appella solo raramente.

Il Centro per la giustizia sociale denuncia il clima di intolleranza generale creatosi negli ultimi anni, a partire dal sistema educativo: nel 2021 è stato introdotto alle elementari un curriculum nazionale, ma l’approccio educativo della scuola pubblica “si è avvicinato a quello della madrasa”, la scuola religiosa islamica, spiega il rapporto. Le lezioni trattano solo dell’islam, mentre “gli studenti delle minoranze sono privati dello studio della propria religione”.

I libri di testo così violano l’articolo 22 della Costituzione, secondo cui “nessuna persona che frequenti un’istituzione educativa può essere obbligata a ricevere un’istruzione religiosa, o a prendere parte a una cerimonia religiosa, o ad assistere a un culto religioso, se tale istruzione, cerimonia o culto si riferisce a una religione diversa dalla propria”.

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23/02/2022
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