Politica

di Giuseppe Udinov

Aborto - Soros contro la Corte Suprema

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La lettera aperta di George Soros, pubblicata sul Sole 24 Ore martedì 12 luglio, è rivelatrice, prima di tutto, del clima da guerra civile che si sta diffondendo negli Stati Uniti. In secondo luogo, è una curiosa contrapposizione dei valori democratici ai valori di libertà.

Secondo Soros, la democrazia americana è minacciata. I nemici esterni sono ben visibili a tutti: la Cina di Xi Jinping e la Russia di Putin. Ma “… la minaccia a livello nazionale derivante dai nemici della democrazia è persino maggiore. Tra questi ci sono la Corte Suprema, dominata da estremisti di destra, e il Partito repubblicano di Donald Trump che ha nominato proprio gli estremisti che ora presiedono la Corte”. Questa è un’affermazione molto grave, se pronunciata da un democratico, perché implica la fine della possibilità di alternanza. Ma l’aspetto che lascia più perplessi, su una conclusione così drastica, è il motivo dell’allarme di Soros. Infatti, il filantropo progressista non menziona neppure i sospetti di collusione fra i Repubblicani e i nemici esterni degli Usa (con la Russia di Putin, in particolare), ma a suo dire il maggior sintomo di dittatura è il comportamento dei giudici conservatori della Corte Suprema.

La Corte, a giugno, ha ribaltato la storica sentenza Roe vs. Wade, che aveva portato, nel 1973, alla legalizzazione dell’aborto su scala nazionale. Per Soros il problema della sentenza del giugno 2022 è nel metodo, più che nel merito, per le motivazioni scritte dal giudice supremo Samuel Alito, autore dell’opinione di maggioranza: “ha basato il suo verdetto – scrive Soros – sull’asserzione secondo cui il XIV Emendamento protegge solo i diritti riconosciuti nel 1868, ovvero quando l’emendamento fu ratificato. Ma quest’argomentazione mette in pericolo molti altri diritti che sono stati riconosciuti a partire da allora come il diritto alla contraccezione, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso e i diritti Lgbtq”.

Mette in pericolo, in che senso? La Corte ha spiccato una sentenza secondo cui uno Stato membro degli Usa ha libertà di legiferare su queste materie. Perché queste stesse materie non sono diritti costituzionali, dunque non possono essere imposti su scala nazionale. Dunque gli Stati che vogliono continuare ad applicare leggi che permettono l’aborto (e i matrimoni dello stesso sesso) possono continuare a farlo. Semmai, sono gli Stati che vogliono vietarli che non possono essere aggrediti a colpi di denunce e sentenze che impedirebbero loro di farlo.

La Corte, in questo modo, sta imponendo un modello non democratico? No, semmai restituisce voce alla democrazia locale. Più precisamente, la Corte sta riaffermando un principio di libertà: gli Stati, le comunità locali, sono più liberi di decidere sulle loro regole interne, pur lasciando i cittadini a loro volta liberi di trasferirsi altrove, se, localmente, il loro comportamento non è conforme. Resta solo il problema del costo materiale per il trasferimento, ma le grandi aziende americane (per lo meno, buona parte di esse) sta già provvedendo con il pagamento dei dipendenti negli Stati anti-abortisti di tutte le spese necessarie per l’interruzione di gravidanza in altri Stati più liberal: spese di viaggio, pernottamento e ricovero.

Secondo esempio: “È anche evidente che questa Corte intende portare un attacco frontale al ramo esecutivo. Infatti, uno dei verdetti conseguenti della sessione appena conclusa della Corte ha negato all’Agenzia per la protezione ambientale l’autorità di emettere le regolamentazioni necessarie per contrastare il cambiamento climatico”. Ma con quella sentenza, in difesa della West Virginia, la Corte ha semplicemente posto fine a un abuso di potere. L’Epa, agenzia per l’ambiente americana, non ha il potere di legiferare in materia climatica, non può imporre a uno Stato le quote di emissioni da rispettare, senza avere alle spalle un preciso mandato del Congresso. L’Epa è una burocrazia, con vertici di nomina presidenziale: è un organo esecutivo, non può fare leggi.

L’unico caso in cui Soros difende i diritti degli Stati dal governo federale è sul Secondo Emendamento, perché lo Stato di New York ha vietato, con una legge locale, di portare armi in pubblico, mentre la Corte ha difeso il principio costituzionale secondo cui ogni americano ha il diritto di acquistare “e di portare” armi. Anche qui, Soros perora la causa del governo di New York nel nome di un concetto collettivista della democrazia, dove si vota per il bene della maggioranza e della sua sicurezza. Ma contro un diritto di libertà individuale, garantito sin dal 1791 quando venne introdotto il diritto di possedere e portare armi nella Carta dei Diritti: è democrazia contro libertà, ancora una volta.

Anche nella soluzione al problema, Soros rivela ancora la sua natura di centralista democratico: “C’è solo un modo per tenere a freno la Corte Suprema, ovvero delegittimare il Partito repubblicano con una vittoria schiacciante. Ciò permetterebbe al Congresso di proteggere i diritti che erano stati affidati alla tutela della Corte Suprema grazie alle leggi”. In soldoni: fare leggi, a colpi di maggioranza, contro le sentenze di una Corte suprema che non fa altro che applicare testualmente la Costituzione (a differenza dei giudici progressisti che la interpretavano sulla base dello “spirito dei tempi”).

Nella sua difesa al sistema democratico, Soros accusa i Repubblicani di voler sovvertire le regole del voto. E lo fa con toni complottisti, degni dei suoi nemici che lo accusano delle peggiori operazioni occulte. Ad esempio, delle nuove norme elettorali locali dice: “Se da un lato queste leggi si focalizzano sul privare gli afroamericani, altre minoranze e i giovani del diritto di voto, dall’altro il loro obiettivo ultimo è quello di sostenere i repubblicani alle elezioni”. Perché? Molto semplicemente (al di là del dibattito sui confini dei distretti elettorali, che poco importa perché chiunque sia nella posizione giusta li ridisegna a proprio vantaggio) queste norme introducono maggiori controlli sull’identità della persona che vota. Se questo sia di svantaggio per gli afroamericani non è affatto detto, a meno che non si dia per scontato che votino tutti senza documenti in regola. E, ancora più a monte, poi, dando per scontato che tutti gli afroamericani votino per i Democratici.

In conclusione per Soros, queste norme elettorali e le sentenze della Corte sono: “Una parte di un piano attentamente delineato per trasformare gli Stati Uniti in un regime repressivo”. Ogni ulteriore commento appare superfluo.

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13/07/2022
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