Chiesa
di Tommaso Ciccotti
Papa Francesco cerca la a verità sull’esplosione del porto di Beirut
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Alla vigilia del secondo anniversario dell’esplosione al porto di Beirut, papa Francesco ha voluto esprimere vicinanza a quanti furono colpiti da quella catastrofe senza precedenti, che costò la vita a 220 persone e provocò oltre 6mila feriti. “Il mio pensiero va alle famiglie delle vittime di quel disastroso evento e al caro popolo libanese”, ha detto il santo padre al termine dell’udienza in aula Paolo VI in Vaticano. “Prego perché ciascuno possa essere consolato dalla fede, confortato dalla giustizia e dalla verità, che non può essere mai nascosta. Auspico che il Libano con l’aiuto della comunità internazionale, continui a percorrere il cammino della rinascita, rimanendo fedele alla propria vocazione di essere terra di pace e di pluralismo, dove le comunità di religioni diverse possano vivere in fraternità”.
Quel 4 agosto poco dopo le cinque di pomeriggio, i pompieri di Beirut vennero chiamati al porto. C’era un incendio pericoloso in uno degli hangar, non era ancora nulla di notevole, ma bisognava intervenire subito. I pompieri accorsero, chiamarono rinforzi, furono sorpresi da una prima esplosione. Che pochi secondi più tardi innescò la fine del Libano. Alle 18,08 la seconda esplosione nell’Hangar 3 del porto infiammò 2700 tonnellate di nitrato di ammonio che da dieci anni erano conservate nel deposito, frutto del sequestro di una nave che, ferma da anni in porto per il fallimento dell’armatore, stava per affondare ed era stata scaricata anni prima.
Costruiti nel 1970 grazie ai finanziamenti di un fondo kuwaitiano e al lavoro della società ceca Prumstav, i tre silos di Beirut erano i più grandi del Medio Oriente: 25.000 metri cubi di calcestruzzo, una capacità di stoccaggio di 105.000 tonnellate di grano (aumentata nel 1997 a 120.000 tonnellate), dotazioni per lo scarico di ogni tipo di trasporto, una sala macchine a occhio di falco a 60 metri dal suolo.