Politica

di Nathan Algren

Immigrazione illegale e ministero del Mare

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Quella che i cugini transalpini francesi chiamano Azione dello Stato sul Mare affidandone la responsabilità alla Marina alle dipendenze del Primo Ministro, in Italia impegna vari attori che agiscono sotto più ministeri. La frammentazione italiana potrebbe ridursi se, nella prossima legislatura, venisse costituito il Ministero del mare, come auspicato da alcuni settori istituzionali e produttivi.

Nel nostro Paese c’è infatti un’organizzazione policentrica delle funzioni marittime non militari che, in estrema sintesi, affida alla Marina la cosiddetta “Polizia dell’Alto Mare”, alla Guardia di finanza la cosiddetta “Sicurezza del Mare” ed alla Guardia costiera la tutela di sicurezza della navigazione (SAR compreso), protezione ambientale e controllo della pesca.

Il modello italiano è rodato sul piano operativo anche grazie a reciproche sinergie tra le tre componenti: queste sono di fatto e di diritto autonome, benché si auspichi, ad esempio, maggiore integrazione tra Marina e Guardia costiera.

L’applicazione concreta della formula concorsuale tra le Forze marittime è stata attuata con il Regolamento 19 giugno 2003 discendente dalla L. 189-2002 “Fini-Bossi, dedicato a vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina via mare. Il provvedimento – sinora mai emendato – è incentrato sulla competenza istituzionale, in materia di ordine e sicurezza pubblica sul mare del ministero dell’Interno-Direzione centrale immigrazione, il quale potrebbe in teoria disporre anche misure di respingimento.

Sono previsti due dispositivi di controllo: quello affidato alla Marina in acque internazionali per le sue capacità di comando e controllo cui concorre la Guardia Costiera, e quello delle Forze di polizia nelle acque territoriali. Entrambi i dispositivi si fondono per così dire nella «fascia di coordinamento che si estende fino al limite dell’area di mare internazionalmente definita come “zona contigua” nelle cui acque il coordinamento delle attività navali connesse al contrasto dell’immigrazione clandestina, in presenza di mezzi appartenenti a diverse Amministrazioni, è affidato al Corpo della Guardia di Finanza».

Nel momento in cui è ripreso dibattito politico sulle proposte di contrastare l’immigrazione irregolare con un “blocco navale” o con nuovi provvedimenti di “chiusura dei porti” sarebbe bene riconsiderare le linee portanti del suindicato Decreto dell’Interno: esse sono di certo perfettibili, ma rispondono a logiche basate sulla tutela dell’integrità territoriale delle frontiere marittime, proprie dell’ordinamento giuridico italiano ed internazionale.

Andrebbe per esempio valutata la questione della creazione della zona contigua che la Convenzione del diritto del mare autorizza nella fascia tra le 12 e le 24 miglia dal limite delle acque territoriali per prevenire e reprime le violazioni alle norme di immigrazione, doganali, fiscali e sanitarie. Per quanto istituita dalla Legge “Fini-Bossi”, la zona contigua italiana è rimasta inattuata sul piano concreto quanto a limiti effettivi e poteri di polizia esercitabili. Non sono mai stati approfonditi i motivi di una simile scelta che potrebbe aver depotenziato l’azione delle Forze di polizia nel contrasto del traffico di migranti.

Un segnale di impegno a rafforzare comunque l’azione di sorveglianza nella fascia delle 24 mg. ci viene dalla Guardia di finanza che, come detto, è il braccio operativo dell’Interno nella tutela dell’ordine e sicurezza pubblica sul mare.

Con una nuova serie di Unità navali della “Classe Bandiera” il Corpo potrà infatti svolgere al meglio, in sinergia con Marina e Guardia costiera, quella sua funzione istituzionale che la prossima legislatura è destinata a riportare all’attenzione del Paese. Intanto, il primo esemplare della nuova Classe, la più grande nave di sempre della Guardia di finanza, naviga già: è il Pattugliatore P04 “Osum” di 500 tonnellate e 60 metri di lunghezza con innovative caratteristiche alturiere e performanti.

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01/09/2022
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