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di Nathan Algren

Beirut: ‘assalto’ a una banca trasforma architetto in ‘eroina nazionale’

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Mozzafiato! Non vi sono altre parole per descrivere l’avventura della 28enne Sally Hafiz, intraprendente attivista diventata musa ispiratrice di molti libanesi, dopo aver tenuto in ostaggio il 14 settembre scorso una filiale della Blom Bank (Banca del Libano e d’Oltremare). Un assalto grazie al quale ha ritirato con la forza circa 13mila dollari depositati sul conto della sorella, congelato - come quello di molti altri concittadini - da una misura arbitraria di controllo del capitale, imposta da un giorno all’altro, dagli istituti di credito libanesi nell’ottobre 2019. E ancora oggi in vigore seppur priva di appiglio legale.

“Siamo il Paese delle mafie. Se non si è lupi, altri lupi vi mangeranno” ha sottolineato alla Reuters, in una intervista rilasciata in una località accidentata della Békaa, dove si è nascosta dalla polizia. Lei, architetto e designer di interni, diventata suo malgrado eroina nazionale dopo il suo teatrale passaggio all’azione.

In alcune drammatiche immagini e rilanciate da tutte le televisioni locali, si vede Sally Hafiz in piedi su una delle scrivanie dell’istituto di credito che brandisce la pistola di plastica del nipote e dà istruzioni ai dipendenti della banca, affinché le consegnino mazzette di dollari.

Il raid di Sally Hafiz ha ricevuto il sostegno di una folla di persone che si è radunata all’esterno della Blom Bank, nel quartiere residenziale di Sodeco. “Forse mi hanno considerato un’eroina - ha detto - perché sono stata la prima donna a compiere questo gesto, in una società profondamente patriarcale in cui la voce di una donna assai di rado viene ascoltata”. La giovane ha quindi aggiunto che non ha mai avuto l’intenzione di nuocere o di far male ad alcuno ma, al tempo stesso, afferma di essere “esasperata dall’inerzia del governo”.

“Tutti in combutta”

“Sono tutti in combutta fra loro, per derubarci e per lasciarci morire di fame, una morte lenta” ha poi aggiunto. In seguito ha voluto anche precisare che non ha agito se non dopo aver cercato, invano, di poter ricorrere al direttore e ai responsabili dell’istituto di credito per informazioni. In risposta, la Blom Bank ha dichiarato in una nota che la succursale avrebbe collaborato e cercato di rispondere alla sua richiesta di fondi, ma di aver richiesto documenti giustificativi come è solita fare con tutti i clienti che avanzano esenzioni di natura umanitaria ai controlli informali. E illegali.

Due giorni dopo aver ricevuto risposte negative sui fondi, Sally Hafiz è tornata con una pistola giocattolo, ma in tutto simile a una vera, di proprietà del nipote, e con una piccola quantità di carburante mescolata con acqua. Si è cosparsa di questa sostanza e ha minacciato di darsi fuoco.

La donna, nota per il suo attivismo, insiste sul fatto che ha agito solo per ottenere i fondi necessari per il ricovero in ospedale di sua sorella maggiore, con un tumore al cervello che le ha causato perdita di mobilità e della parola.

Esasperata come migliaia di libanesi da una crisi finanziaria che dura ormai da tre anni, Sally Hafiz è stata una delle cinque persone che hanno preso d’assalto una banca in quel giorno. Una serie nera che ha spinto gli istituti di credito a chiudere i battenti per tutta la settimana in corso, con totale disprezzo dei fabbisogni e delle necessità dei correntisti e dei piccoli risparmiatori.

Per ovvie ragioni, il presidente della Federazione dei dipendenti delle banche, Georges Hage, ha condannato l’assalto. A suo dire, la rabbia popolare dovrebbe essere diretta non contro gli istituti di credito, ma contro lo Stato. Ma chi è il maggiore responsabile di questa crisi? Una crisi che, come ha sottolineato la Banca mondiale, è stata “orchestrata dall’élite del Paese” e ha portato sinora al licenziamento di circa 6mila dipendenti.

Sally Hafiz è riuscita a recuperare poco più di 13mila euro dei 20.500 euro che la famiglia aveva depositato. E ha avuto l’accortezza di farsi rilasciare una ricevuta, per non essere accusata di rapina.

Poi, sgattaiolando attraverso una finestra sul retro della filiale, ha raggiunto il suo appartamento per scoprire qualche ora più tardi che il suo edificio era stato circondato dalle forze di polizia. La donna ha quindi postato su Facebook di essere già in aeroporto, in viaggio per Istanbul. Quindi, avvolgendo il capo con un chador e imbottendo la pancia di vestiti, per simulare una gravidanza, è riuscita a fuggire facendosi beffe della sorveglianza della polizia.

“Sono scesa passando davanti a tutti loro. Mi hanno augurato buona fortuna per il parto. Era… come in un film!” ha poi aggiunto, precisando che si arrenderà non appena i giudici del Libano avranno messo fine allo sciopero, che ha rallentato i procedimenti giudiziari e lasciato i detenuti a languire in prigione.

Un complice, che l’ha aiutata nella fuga e che è stato poi arrestato, è stato quindi rilasciato dietro pagamento di una cauzione il 21 settembre scorso e accolto trionfalmente all’uscita da una caserma della polizia di Beirut dove era in custodia. Egli ha affermato di essere pronto a correre di nuovo lo stesso rischio, per aiutare chiunque cerchi di recuperare “per motivi umanitari” i propri soldi bloccati. E diverse associazioni di correntisti hanno sostenuto l’azione della giovane attivista.

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24/09/2022
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