Storie
di Roberto Signori
TikTok e la tutela dei minori
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L’UK Information Commissioner’s Officer ha emesso di recente nei confronti di TikTok Inc e TikTok Information Technologies UK Limited un avviso nel quale ha precisato che la società potrebbe incappare in una multa di 27 milioni di sterline per la violazione della normativa sulla protezione dei dati personali. Tra le violazioni contestate negli ultimi anni all’app figurano il facile raggiro del divieto d’iscrizione ai minori e quindi l’inadeguata tutela dei minori al momento della registrazione; la scarsa trasparenza e chiarezza delle informazioni sul trattamento dei dati, tra cui quelli oggetto di trasferimento in Paesi extra Ue; le impostazioni che non consentono il rispetto della privacy, l’assenza della modalità di anonimizzazione e quindi il ricorso al profilo pubblico come modalità predefinita.
Il tutto si traduce in una evidente mancanza di tutela nei confronti dei più piccoli e nella riflessione ricorrente sull’impatto negativo dell’utilizzo del web da parte dei minori. Il Garante italiano, che ha preceduto quello irlandese e britannico sul punto, ha sollevato in ambito europeo il caso Tiktok, ponendo come interrogativo se e quanto il gestore della piattaforma si preoccupi di scongiurare il rischio che i bambini accedano alla piattaforma dichiarando un’età diversa, piattaforma che per stessa ammissione di TikTok non è indicata agli infratredicenni.
Aveva ragione Orwell nei suoi testi d’avanguardia, i diversi Big Brother impattano sul quotidiano di ciascuno, viziando e sorvegliando tutti, entrando a gamba tesa sulle società e sui modelli culturali, le abitudini di consumo, la vita quotidiana. Profilazione e micro-targetizzazione sono infatti paradigmi contemporanei, strumenti di marketing con cui si mettono a punto le strategie delle campagne pubblicitarie, sempre più confezionate per il singolo utente, perché lo si conosce, lo si studia. Si parla tanto di pubblicità comportamentale (behavioural advertising) e di attività di microtargeting, ma va considerato che anche se la percezione del rischio di essere manipolati on line o di cadere in dinamiche pericolose in rete non sembra preoccupare molti, nei fatti la complessità della tecnologia e del web, chiama tutti a prestare particolare attenzione rispetto all’utilizzo dei propri dati e della tutela della privacy, specie rispetto ai minori. Nel suo pessimismo crescente e leggendo 1984, Orwell non avrebbe mai immaginato che fossero proprio “i controllati” a fornire spontaneamente dettagli personali ai “controllori”, ma occorre acquisire consapevolezza sulle conseguenze di tutto ciò.
È per questo che risulta imprescindibile l’adozione di misure che contemperino le esigenze di business con maggiori garanzie di tutela come la richiesta di consenso ai minori, l’accertamento dell’età dichiarata dall’utente, la chiarezza delle informazioni rese rispetto alla policy aziendale di trattamento dei dati, il divieto di profilazione delle abitudini e dei comportamenti del minore, la proporzionalità tra la raccolta e il trattamento dei dati.
I social rappresentano un’occasione per condividere esperienze e conoscere nuove realtà, ma più spesso si trasformano in luoghi virtuali in cui i ragazzi si sfidano in prove di forza.
I dati diffusi dai principali studi analizzano che i ragazzi italiani navigano tutti i giorni a partire dall’età di 10 anni, un po’ in ritardo rispetto alla media dei ragazzi europei, e 9 su 10 hanno un profilo su un social network. Le piattaforme digitali non sono pericolose di per sé, ma esiste un’età indicata per ogni progetto ed attività. Le ripetute denunce di minorenni irretiti sui social e altri diventati vittime di bullismo, gli allarmi legati ad ansia, stress e depressione nell’uso ossessivo delle diverse piattaforme e soprattutto degli smartphone, impongono l’applicazione di strategie che cautelino i ragazzi in modo più stringente. Non si tratta di una limitazione della libertà personale, ma di una più opportuna tutela che permetta di affrontare la sfida dell’uso della rete in funzione educativa, non pregiudizievole e con la prospettiva che la sfida valga la pena di essere intrapresa. Bisogna pensare alla rete come qualcosa di fisiologico, non di patologico, un’opportunità da cui trarre il meglio.