Società

di Giuseppe Udinov

DeSantis, la vendetta sui gay

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C’è un nuovo sceriffo in città e il commissario Basettoni, e nemmeno il collaboratore di giustizia Topolino possono farci nulla. Ha usato proprio queste parole da western anni Cinquanta, «c’è un nuovo sceriffo in città», il governatore della Florida, il repubblicano Ron DeSantis, per annunciare la misura che soffia alla Walt Disney Company i privilegi garantiti dal Reedy Creek Improvement District, che finora ha garantito alla multinazionale dell’intrattenimento di «governare» quasi senza limiti il territorio vasto oltre 110 chilometri quadrati che ospita i parchi a tema della compagnia.

Dietro questo sgarbo c’è un conflitto che va avanti da almeno un anno, da quando DeSantis ha licenziato il cosiddetto «Don’t say gay bill», la legge retrograda che proibisce qualsiasi istruzione sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere nei primi dieci anni di vita dei bambini e invita le scuole a evitare riferimenti alle tematiche argomenti Lgbtq «quando non sono adatti all’età o allo sviluppo degli studenti».

Prevedibilmente la misura ha creato una grande disapprovazione da parte degli attivisti Lgbtq, di politici, intellettuali e anche del presidente degli Stati Uniti Joe Biden. A prendere posizione contro il «Don’t say gay bill» anche la Walt Disney Company, che per la verità è stata pressata da molti dei suoi dipendenti, che anzi ne hanno anche approfittato per accusare la società di Topolino di operare a sua volta tagli sui cartoons nei punti in cui sfiorano tematiche di amore omosessuale. Una posizione ambigua, quindi quella della Disney, che all’interno non sarebbe inclusiva ma all’esterno, anche per motivi di immagine, ha attaccato come illiberali le politiche di DeSantis. Fatto sta che nel marzo 2022 l’allora ceo della Walt Disney Company Bob Chapek (nel frattempo sostituito da Bob Iger) ha accusato il governo di Tallahassee di oscurantismo, guadagnandosi il disdoro di DeSantis.

Il governatore ha deciso di vendicarsi togliendo lo «statuto speciale» alle aree del Reedy Creek Improvement Park, su cui la Disney vanta un’autonomia quasi totale, potendo fare investimenti, costruire infrastrutture, dettare legge senza dover render contro del governo statale, che conserva il solo diritto di riscuotere le tasse sulle proprietà e ispezionare gli ascensori. Su quel territorio, a Sud-Ovest di Orlando, sorge Disney World (più correttamente Walt Disney World Resort) che racchiude i quattro parchi a tema della Disney (Magic Kingdom, Epcot, Disney’s Hollywood Studios e Disney’s Animal Kingdom) oltre a due parchi acquatici, sei campi da golf, una trentina di hotel e decine di bar, ristoranti e aree commerciali. Un regno su cui non tramonta mai il sole («Il posto più felice sulla Terra» lo autodefinisce la stessa Disney) ma del quale ora la società di Burbank non avrà più il pieno controllo.

Quando entrerà in vigore la vendetta legislativa di DeSantis, il distretto disneyano si chiamerà Central Florida Tourism Oversight District e sarà la Florida a scegliere la maggioranza dei membri del consiglio direttivo, che prima erano espressione della Disney. Nel board, che naturalmente non ha voce in capitolo sulla gestione creativa di Disneyworld, ma controllerà i finanziamenti per i progetti infrastrutturali e quindi potrà influenzare le decisioni della corpor++ation), ci sono ora personaggi come Bridget Ziegler, fondatrice del movimento ultraconservatore Moms for Liberty, il pastore cristiano Ron Pen e altri fedelissimi di DeSantis. «Abbiamo messo finalmente fine al regno della corporation, c’è un nuovo sceriffo in città e ora devono renderci conto», ha detto il governatore repubblicano in una conferenza stampa a Lake Buena Vista, aggiungendo: «Come si fa a dare a un parco a tema il suo proprio governo e poi trattare tutti gli altri in modo diverso?», ha detto DeSantis

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01/03/2023
2309/2023
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