Politica
di Mario Adinolfi
CONSIGLI A MELONI A TEMA FASCISMO
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Non è bastato alla sinistra vedere Giorgia Meloni trasformarsi in una premier più draghiana di Draghi, nella migliore amica di Ursula Von der Leyen, nel sogno erotico di Zelensky e Biden. Appena Enrico Letta davanti alla conversione ha detto “è brava”, si sono scatenati i compagni con la solita accusa: è fascista. Il povero La Russa può pure sbarazzarsi del busto del Duce e chiedere scusa per via Rasella, ci sarà subito un Rampelli con le sue bizzarre multe da centomila euro contro chi usa gli anglismi o un Federico Mollicone a difendere Mambro e Fioravanti, a gettare la premier nell’imbarazzo. Il calendario peraltro è nemico: 3 gennaio (1925, discorso su Matteotti, inizio della dittatura), 16 febbraio (1926, morte Gobetti), a marzo come si sa Rasella e Fosse Ardeatine, poi viene il 25 aprile, a maggio i Patti Lateranensi, giugno entrata in guerra con Hitler, il 25 luglio, agosto (28 del 1931) giuramento di fedeltà imposto agli accademici, 8 settembre, 16 e 28 ottobre (rastrellamento degli ebrei, marcia su Roma), 9 novembre (1921, nascita del Partito nazionale fascista), 26 dicembre (1946, nascita del Movimento sociale italiano). Ogni mese ha la sua pena e la sua polemica già innescata.
Le sinistre hanno deciso di picchiare duro su due fronti: il fascismo e i cosiddetti diritti civili. Su questi ultimi la mia opinione è nota, spiegata in molti libri in qualche modo assimilati dalla Meloni “donna, madre, cristiana” che quando se ne esce al naturale fa il discorso andaluso (molto bello) anche se la ancestrale tendenza alla subalternità culturale la rende titubante nelle soluzioni (perché non approvare subito, ad esempio, il reddito di maternità che ci ha copiato in campagna elettorale, immediato provvedimento ad effetto antiabortista?). Ma è sul fascismo che Meloni e compagnia sembrano sempre sotto schiaffo. Il mio consiglio è prendere coraggio e appunti. A tema fascismo, questo è il discorso che farei fossi Giorgia Meloni.
“Signori, è vero, sono cresciuta nel mito del fascismo. Insieme al mio punto di riferimento politico, Gianfranco Fini, nel Movimento Sociale Italiano celebravamo il 28 ottobre e disprezzavamo il 25 aprile. Questo anche in virtù di una mitologia successiva, nutrita dal sangue di ragazzi fascisti che negli Anni Settanta vennero ammazzati brutalmente dai coetanei comunisti: Sergio Ramelli, Miki Mantakas, i fratelli Mattei, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta, Mario Zicchieri, Graziano Giralucci e tanti altri. Ma io, signori miei, sono nata nel 1977. Non ho vissuto il fascismo, non ho vissuto gli anni di piombo. Sono cresciuta, questo sì, in una cultura politica che ne riverberava le parole d’ordine. Mi sono definita fascista, sì, senza sapere bene cosa volesse dire se non una contrapposizione frontale rispetto alle sinistre ipocrite e potenti che ci perseguitarono. Quando diventai maggiorenne il Msi in cui militavo fu sciolto, nacque Alleanza Nazionale, io ne guidavo l’organizzazione giovanile e non protestai quando il leader Gianfranco Fini definì il fascismo “male assoluto”, nel 2003, quando avevo 26 anni. Sono entrata in Parlamento tre anni dopo.
So di non dover parlare solo per me ma anche per la comunità politica che guido, con parte della classe dirigente che con il Msi ha avuto un rapporto più lungo e impregnante. Fratelli d’Italia ne rivendica l’eredità mantenendo nel simbolo la caratteristica fiamma e questo già dice molto. Siamo almeno in parte figli di quella storia anche se nascemmo prendendo il 3% dei voti e oggi prendiamo il 30% quindi il nostro elettorato ex-missino si è molto diluito. Voglio però tentare, proprio per la mia provenienza, un’operazione di definitiva pacificazione nazionale che chiuda le stagioni della delegittimazione reciproca. Da tempo d’altronde è pacifico considerare gli eredi del Pci parte integrante della democrazia italiana, anche se l’eventuale vittoria del Pci alle elezioni del 18 aprile 1948 quella democrazia l’avrebbe messa a rischio visto che il Pci era in tutto e per tutto prono ai diktat dell’Urss, oltre che dipendente dai suoi finanziamenti. Così come, con colpevole ritardo, i leader ex comunisti hanno saputo emanciparsi da quella tragica storia fatta di oppressione e morte, così io da tempo considero il fascismo una pagina tragica della storia italiana. La privazione delle fondamentali libertà, le leggi fascistissime del 1925-26, la persecuzione degli avversari politici, le leggi razziali, l’intesa con Hitler, la guerra sono tutte scelte condannate dalla storia e che condanno io stessa con tutta la comunità politica che guido.
Non accetto però di piegarmi alle letture ideologiche e a false mitologie fondanti scelte lontane dalla realtà almeno quanto quelle di chi idealizzava il fascismo. Questa può essere una vera occasione di pacificazione nazionale se riconosceremo tutti alcune verità storiche. Il fascismo si impose non con la violenza ma per volere del popolo italiano e delle sue istituzioni. Benito Mussolini ottenne dal re l’incarico di formare il governo, formò un governo di coalizione il 31 ottobre 1922 e stravinse le elezioni successive del 6 aprile 1924. Il listone mussoliniano ottenne oltre il 60% dei voti, la seconda lista fu quella del Ppi di Sturzo con il 9%, poi i socialisti di Matteotti con il 5%. Con il discorso del 3 gennaio 1925 comincia la dittatura ma senza ombra di dubbio in un contesto di consenso e conformismo. Quando nell’agosto 1931 si impose ai professori universitari il giuramento di fedeltà al regime, giurarono tutti con l’eccezione di una dozzina di pensionandi. Gli italiani stavano con il regime, non c’era il minimo attivismo di opposizione, le condizioni dei ceti proletari medio-bassi miglioravano, la propaganda (certamente pervasiva) funzionava.
La guerra fu un punto di svolta ma anche qui: tutta la seconda guerra mondiale costò meno di mezzo milione di morti all’Italia. E sia i 319.207 morti militari che i 153.147 morti civili cadono in stragrande maggioranza per mano angloamericana o sovietica. Il mito della Resistenza che fonda la Repubblica è, appunto, un mito. La liberazione dal nazifascismo fu dovuta alla Campagna d’Italia avviata il 9 luglio 1943 con lo sbarco in Sicilia degli angloamericani, costata loro complessivamente 335mila morti fino al maggio del 1945. La lotta partigiana fu una forma di guerriglia che visse di atti simbolici e attentati, come quello discusso di via Rasella, ma i nazifascisti non furono cacciati con l’insurrezione proclamata il 25 aprile 1945, quello fu un atto simbolico dopo la durissima guerra condotta dagli americani oltre che con lo sbarco in Sicilia anche con lo sbarco in Normandia del giugno 1944. L’avanzata dei carri armati sovietici da Est liberò il resto d’Europa, dividendo il Vecchio Continente in aree di influenza cristallizzate alla Conferenza di Yalta le cui conseguenze sono ancora visibili, assai più di quelle della triste guerra civile tra partigiani e repubblichini.
La Costituzione repubblicana del 1948 è di conseguenza una Costituzione democratica e antitotalitaria. Non è una Costituzione antifascista, non cita mai il fascismo se non in una norma transitoria che vieta la ricostituzione del Pnf. Il nostro stare insieme non ha a che fare con chi è con il fascismo e con chi è contro. Il fascismo è un vecchio arnese della storia, superato e non ricostituibile, che fu possibile perché furono gli italiani a volerlo date alcune condizioni storiche irripetibili. So che per alcuni è inaccettabile sentirsi dire che il fascismo fu amato dagli italiani, ma così fu, per questo ancora oggi Benito Mussolini è di gran lunga il premier che è durato di più in carica. Non è così in Germania, Adolf Hitler è stato surclassato da Angela Merkel. Ma Hitler fu temuto, Mussolini fu amato, il suo consenso derivava certo dalla propaganda ma anche dalle famose innominabili “cose buone” fatte per i ceti subalterni, che lo ripagavano col sostegno popolare. Fece poi errori atroci e ne pagò le conseguenze fino a piazzale Loreto, dove il conformismo all’italiana offrì la sua faccia feroce. Fine della storia, così è andata, così si è conclusa non tornerà.
Ora ci siamo noi, in questa lingua di terra in mezzo al Mediterraneo, esposti alle conseguenze di altre guerre, alle migrazioni epocali, all’impoverimento di radici e valori, sempre più dipendenti da decisioni prese altrove. Chi ama l’Italia oggi deve tenersi stretto alle sue istituzioni e alla sua democrazia, provando a battere l’avversario con proposte migliori, non delegittimandolo evocando storie di ottanta anni fa che neanche dimostra di conoscere così bene. Basta con le letture ideologiche della storia, basta con la retorica di Bella Ciao, basta con il nostalgismo comunista, basta con i miti fondanti che sono di cartapesta. Andiamo incontro ad un tempo nuovo e difficile con idee nuove e cariche di umanità. Tutto il resto e soprattutto i morti consegniamoli alle preghiere e al rispettoso silenzio”.
Fossi Giorgia Meloni terrei un discorso così, subito, prima del 25 aprile. E, ripeto, è un discorso che terrei se fossi Giorgia Meloni. Io direi altro perché vengo da un’altra storia e se mai dovesse capitare, saprò essere chiaro e non intimidito.